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Bandiera vietata, patria offesa: il paradosso di una scuola Britannica che nega l’identità Inglese

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In un’epoca in cui si predica l’inclusione e si sbandiera la tolleranza, nel Regno Unito accade un fatto che ha dell’incredibile. Una dodicenne viene espulsa dalla classe per aver indossato la bandiera del proprio Paese, proprio durante un evento scolastico dedicato alla “celebrazione delle culture”. Un gesto innocente e perfettamente coerente con lo spirito dell’iniziativa si trasforma in un episodio di censura identitaria, in nome di un multiculturalismo distorto e piegato a logiche ideologiche che calpestano ogni buon senso.

La giovane studentessa, avvolta orgogliosamente nel vessillo inglese, è stata trattata come una provocatrice, un elemento destabilizzante da isolare. “Potenzialmente divisiva”, così è stata definita dagli insegnanti. Non un simbolo di appartenenza legittima, ma una minaccia da reprimere. Il paradosso è servito: in un evento pensato per valorizzare le radici culturali di ciascuno, ciò che è stato punito è proprio l’appartenenza alla cultura ospitante.

L’Inghilterra, padrona in casa sua? Non più. Chi osa manifestare l’orgoglio nazionale viene bollato come divisivo, mentre si spalancano le porte a ogni forma di esotismo imposto, purché non ricordi troppo che esiste una storia, una lingua, un’identità propria. È il delirio di un’ideologia democratica di sinistra che vorrebbe gli stranieri padroni a casa d’altri, e che considera ogni richiamo alla cultura occidentale come un fastidio da silenziare.



La vicenda ha suscitato un’ondata di indignazione, tanto da richiedere l’intervento diretto del Governo britannico. Downing Street ha definito inaccettabile quanto accaduto: “Nessuno studente dovrebbe sentirsi in imbarazzo o ostracizzato per aver espresso, nel rispetto delle regole, la propria identità nazionale.” Una presa di posizione chiara, che suona come una sconfessione dell’operato scolastico e un richiamo al buon senso ormai scomparso nei corridoi di certi istituti.

Costretta a chiedere scusa, la scuola ha dovuto fare marcia indietro. Ma nessun provvedimento è stato preso contro gli insegnanti responsabili di un tale abuso educativo. Ancora una volta, chi reprime viene protetto, chi si limita a esprimersi viene punito. Un copione tristemente noto, dove l’ideologia progressista fa da scudo all’arbitrio e alla discriminazione contro chi non si adegua al pensiero dominante.

Il ministro italiano Giuseppe Valditara non ha mancato di commentare, ponendo una domanda provocatoria ma legittima: “Cosa avrebbe detto la sinistra italiana se fosse accaduto qui?” La risposta è scontata: avrebbero gridato alla discriminazione se si fosse trattato di uno studente straniero, ma tacciono – o peggio giustificano – se la vittima è una ragazza inglese con la Union Jack sulle spalle.

Siamo al rovesciamento dei valori. La cultura ospitante, in nome dell’inclusione, viene marginalizzata. La libertà di espressione viene concessa solo se conforme ai dogmi ideologici del progressismo radicale. La scuola, che dovrebbe essere luogo di crescita e confronto, si trasforma in un campo di rieducazione dove chi afferma la propria identità nazionale viene ridotto al silenzio.

Il clamore mediatico ha raggiunto ogni angolo del mondo. E se da un lato c’è chi giustifica l’operato degli insegnanti, paventando rischi di tensione etnica, dall’altro sempre più voci si levano contro quello che appare come un delirio di correttezza politica, che finisce per produrre l’effetto opposto: alimentare divisioni, sospetti e risentimenti.

La riflessione è urgente e necessaria. Le scuole devono tornare ad essere presidi di educazione, non laboratori ideologici asserviti all’agenda della sinistra globalista. La libertà non si difende reprimendo l’identità, ma riconoscendola e valorizzandola. E l’identità di un popolo passa anche dai suoi simboli, dalla sua storia, dalla sua bandiera.

Se non si può più sventolare la propria bandiera nella propria terra, allora è il segnale che qualcosa di grave si è rotto. E non sarà certo l’invocazione di un multiculturalismo senz’anima a ripararlo. Serve coraggio, serve verità, serve soprattutto il recupero della dignità nazionale, quella che troppo spesso viene sacrificata sull’altare dell’inclusione a senso unico.

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