Corte penale internazionale: mandato di arresto internazionale per Netanyahu e Gallant

La Corte penale internazionale (CPI) ha emesso mandati di arresto per il premier israeliano Benjamin Netanyahu, l’ex ministro della Difesa Yoav Gallant e il comandante di Hamas Mohammed Deif (Israele però ritiene di averlo ucciso in un raid), accusandoli di crimini di guerra e contro l’umanità durante il conflitto nella Striscia di Gaza e in Israele, successivo al 7 ottobre 2023.

Netanyahu e Gallant hanno respinto con forza le accuse, definendole antisemite e politicamente motivate, mentre la fazione palestinese ha accolto positivamente l’iniziativa, considerandola un passo verso la giustizia.

La decisione ha suscitato reazioni internazionali contrastanti. Gli Stati Uniti e l’Argentina hanno respinto i mandati, sostenendo il diritto di Israele a difendersi. Al contrario, l’Unione Europea ha ribadito che i Paesi membri devono rispettare la decisione della CPI, considerandola vincolante. Per i 124 Stati parte dello Statuto di Roma, l’arresto dei ricercati è obbligatorio se entrano nei rispettivi territori, complicando i viaggi internazionali di Netanyahu.

Il procuratore capo Karim Khan ha difeso l’indagine, affermando che è stata condotta in modo indipendente e basata su prove verificabili. Tuttavia, Israele ha criticato Khan, ricordando le accuse di “molestie sessuali” circolate di recente nei suoi confronti. L’Olanda, sede della Corte, ha confermato pieno supporto alla CPI, mentre in Italia le opinioni si dividono.

Il ministro degli Esteri Antonio Tajani ha dichiarato che l’Italia sosterrà la CPI ma valuterà il caso con prudenza, mentre il ministro della Difesa Guido Crosetto, pur criticando il mandato, ha confermato che l’Italia rispetterà il diritto internazionale.

Nonostante l’importanza etica e simbolica del provvedimento, appare improbabile che Netanyahu o Gallant vengano processati all’Aja, data la complessità politica e diplomatica del caso.