Italia & Estero
Elisa, una trentina all’estero: come si vive in Norvegia e quali sono le differenze con l’Italia?
Quante volte ci siamo lamentati dell’Italia, tra burocrazia inutile e ambienti lavorativi stressanti, tasse altissime e malfunzionamenti generali, e abbiamo sognato di trasferisci all’estero?
Quante volte ci siamo chiesti come sarebbe vivere in un altro Paese, dove la mentalità è più aperta e il progresso non solo un’utopia ma una realtà costante?
Quali sarebbero i benefici e quali le difficoltà? Ne varrebbe davvero la pena? A questo proposito abbiamo deciso di intervistare Elisa, una trentina che dal 2021 vive in Norvegia…
Raccontaci qualcosa di te… Chi sei e come sei arrivata in Norvegia?
“Sono Elisa, ho 37 anni e sono trentina, orgogliosamente originaria di Mezzano di Primiero (TN). Dopo la laurea mi sono trasferita in Vallagarina per lavoro, dove ho vissuto per una decina di anni. Quando ho incontrato mio marito Alberto, ci siamo spostati a Brentonico, dove sono nati i nostri due figli, che adesso hanno rispettivamente 5 e 7 anni.
Nel 2021 abbiamo preso la decisione di trasferirci in Norvegia e, dopo aver vissuto per un primo periodo sulla costa ovest, ora risediamo nel comune di Arendal, in una piccola isola della Norvegia meridionale.”
Cosa ha spinto te e la tua famiglia a trasferirvi in Norvegia?
“La decisione di trasferirci in Norvegia è maturata più o meno consciamente nel corso degli anni, pur non essendoci mai stati prima! Abbiamo entrambi in più occasioni pensato di lasciare l’Italia, ma il tutto è sempre rimasto su un piano prettamente ipotetico.
Nel 2020, con la nascita della nostra seconda figlia, abbiamo deciso di valutare seriamente questa opzione. Eravamo stufi dell’ambiente lavorativo, delle difficoltà di bilanciare vita professionale e personale e preoccupati dall’involuzione culturale, sociale e politica in atto.
Tante le domande che avevamo in testa: “Perché farsi una famiglia se poi non si ha il tempo di crescere assieme ai propri bambini ed essere presenti per loro? ” e “Che senso ha aver investito soldi ed energie in anni di studio se poi titoli e competenze acquisite non vengono riconosciute e valorizzate?” erano le più pressanti.
Quindi abbiamo iniziato a guardarci intorno partendo dal presupposto di volerci spostare, ma non sapendo in realtà dove.
Eravamo alla ricerca di una cultura lavorativa onesta ed equa, con possibilità di crescita e riconoscimento, una società a misura di famiglia, un paese dove poter vivere tranquilli e a contatto con la natura, dove far crescere i nostri figli serenamente…La Norvegia si è rivelato essere il Paese che più si adattava alle nostre esigenze.
Entrambi eravamo sempre stati affascinati dai Paesi scandinavi, Alberto ancor più di me, ma eravamo spaventati dal dover imparare una nuova lingua da zero, essendo entrambi over 30 e con vite più che sufficientemente impegnate.
Al netto di tutto ciò però ci siamo detti: “Se questo dev’essere il nostro progetto di vita, vale la pena investirci tempo e risorse. ” E ci siamo lanciati… Nel giro di un anno abbiamo studiato la lingua, tradotto documenti, pianificato, seguito iter per il riconoscimento dei titoli e delle autorizzazioni lavorative, fatto colloqui, visto case…Infine abbiamo impacchettato la nostra vita e siamo partiti.”
Quali sono le principali differenza tra Italia e Norvegia?
“Le differenze tra Italia e Norvegia? Molte. Venendo dal Trentino, spesso trovo anche similitudini, come la gente in montagna che saluta pure gli sconosciuti, ma che in città abbassa gli occhi e tira dritto. È divertente spiegare ai norvegesi che l’Italia non è solo spiagge, sole, rumore, buon cibo e città d’arte.
Forse la cosa che più mi ha sorpreso e che ancora continua a stupirmi è l’atmosfera di rispetto e fiducia reciproca che si respira un po’ ovunque, dagli esercizi commerciali incustoditi con la cassa self service – dove nessuno si sognerebbe mai di uscire senza pagare o di fare il furbo-, alle finestre delle case tassativamente senza tende, perché nessuno sarebbe così scortese da sbirciare dentro.
Contrariamente al classico cliché che descrive le persone nordiche come fredde e asociali, dalla mia esperienza posso dire che sono per lo più estremamente rispettose dello spazio altrui e tendono a non disturbare se non necessario. Questo molto spesso viene mal interpretato come distanza sociale.
Sento e leggo molte esperienze di italiani o stranieri che faticano a conoscere nuove persone, ma una volta che si fa un passo indietro rispetto ai propri pregiudizi e preconcetti, tutto assume un’altra dimensione. Certo, è molto diverso per chi si trasferisce da solo, rispetto a chi è in coppia o con famiglia al seguito.
A proposito di bambini, altre differenze degne di nota riguardano il rispetto e la tutela dell’infanzia. La Norvegia è un Paese assolutamente “family friendly”, dove i bambini e le famiglie vengono tutelati e messi al primo posto, dove i genitori sono nelle condizioni di esserlo e in cui c’è un ottimo equilibrio tra vita lavorativa ed extra-lavorativa.
Dopo anni qui, abituati con parchi giochi e spazi adatti ai bambini ovunque, l’ultima volta che siamo scesi in Italia, in una nota cittadina turistica del nord, è stato un trauma non trovare neanche un ristorante realmente a misura di bambino.
Turnisti a parte, la giornata lavorativa finisce solitamente alle 16, perché poi c’è il tempo libero, che è sacro, da dedicare alla famiglia, agli hobby, allo sport e alla cura di sé. Per chi è costretto a lavorare in orario tardo pomeridiano, serale o notturno, sono ovviamente previsti una compensazione economica o dei benefit.
La Norvegia è un Paese dove si lavora per vivere, non si vive per lavorare. E questo si respira quotidianamente in riconoscimento, apprezzamento, pazienza e ancora una volta rispetto. Poi ovvio, tutto ciò non cade dal cielo, viene costruito con l’impegno e la partecipazione di ogni individuo.
Nessuna garanzia che tutto ciò non andrà a degenerare, ma la cornice sociale e culturale fa sì che questo senso di responsabilità condiviso sia tutelato.
In più di quindici anni di lavoro non mi era mai capitato, per quanto abbia avuto modo di lavorare in realtà di cui conservo ricordi bellissimi, di sentirmi così rispettata, apprezzata e gratificata. In Italia c’è una tendenza diffusa alla lamentela, alla critica reciproca, al giudizio e alla competizione.
Nella nostra esperienza norvegese abbiamo sperimentato l’esatto contrario. Qui non si è bravi perché gli altri lo sono di meno, e per emergere non serve denigrare i colleghi. È stato uno shock positivo realizzare che i continui complimenti, apprezzamenti e frasi di incoraggiamento e sostegno non erano ironici, ma autentici!
La vita, per quanto frenetica, è decisamente più a misura di persona. La burocrazia è in linea generale più snella, pensata per facilitare la vita, non per renderla più complessa. La digitalizzazione dei servizi è più avanzata e c’è un vero e proprio culto dell’autonomia in tutte le fasi di vita.
Allo stesso tempo, c’è molta partecipazione sociale e collaborazione per rendere ambienti e contesti più accoglienti per tutti. Non è tutto oro, ma c’è molto da apprezzare. Se lo chiedi a un norvegese, si lamenterà comunque, ma per noi che abbiamo vissuto la realtà italiana, il metro di giudizio è ovviamente diverso!
La realtà scolastica norvegese è un altro aspetto profondamente diverso rispetto all’Italia. Se in Italia molto dell’apprendimento è incentrato sulla performance e sul risultato (dall’asilo all’università), in Norvegia c’è più focus sull’individuo e sulla passione per l’apprendimento. Il rapporto insegnante – numero di alunni è più favorevole, l’approccio meno formale e più esperienziale. Non ci sono voti e giudizi di merito, almeno nei primi anni di scuola.
La transizione da scuola materna a scuola primaria è graduale e modulata, le aule hanno varie stazioni per diverse modalità di apprendimento e un giorno a settimana si fa lezione all’aperto. C’è molta integrazione con la realtà sociale e gli eventi e la didattica è interdisciplinare.
È un approccio che spesso in Italia si trova solo in realtà private che seguono per scelta o per moda pedagogie “di nicchia”, a cui non tutti possono permettersi di accedere. E sì, non è una leggenda metropolitana: i bambini fanno il riposino all’aperto indipendentemente dalla stagione.”
Cosa ti manca dell’Italia e cosa invece rimpiangi?
“Famiglie e amici a parte, che ringraziando il cielo possiamo vedere tramite schermo, dell’Italia mi manca la varietà di generi alimentari, specie frutta e verdura. Diciamo che in Norvegia senza serra si fa un pochino più fatica a coltivare l’orto! Mi mancano le Dolomiti e il Lago di Garda e il fatto che in Italia ovunque tu vada respiri storia e cultura.
Penso che il patrimonio storico-culturale italiano venga troppo spesso dato per scontato e so che qui dovremo fare uno sforzo in più per dare la possibilità ai nostri figli di vivere e apprendere ciò che noi abbiamo potuto toccare con mano. Un’altra cosa che forse mi manca dell’Italia è il problem solving “creativo”.
Mi spiego meglio: per come la vedo io, scontrandosi più frequentemente con difficoltà quotidiane si diventa più allenati a pensare fuori dagli schemi e a essere meno “quadrati”. Ovviamente questa è una mera generalizzazione. In termini di rimpianti niente, tutto ciò che mi manca dell’Italia è più che ampiamente controbilanciato da ciò che ho trovato e guadagnato vivendo qui.”
Siete riusciti a integrarvi? Quali sono le difficoltà maggiori che avete incontrato? Come avete fatto con la lingua?
“Per quel che mi riguarda da quando siamo in Norvegia abbiamo incontrato persone meravigliose, accoglienti e inclusive, che non ci hanno mai fatto sentire esclusi, estranei o stranieri, anzi, tutto il contrario. Ecco, questa è una cosa che dell’Italia non rimpiango affatto!
La Norvegia è molto legata alle proprie tradizioni, ma contemporaneamente è ampiamente multiculturale ed inclusiva, grazie anche a campagne di sensibilizzazione, anni di pratica e politici che incoraggiano l’integrazione. Sia dove vivevamo prima che ora ci siamo ben integrati, complice anche il fatto di doverci interfacciare con altri genitori, insegnanti, attività extrascolastiche eccetera.
Sicuramente il fatto di aver studiato la lingua a un livello sufficiente per poter comunicare senza difficoltà da subito ha fatto la differenza. In generale, i norvegesi apprezzano molto che ci si sforzi di usare la loro lingua, nonostante la maggior parte della popolazione, dai bambini agli ultranovantenni, parlino fluentemente inglese.
Per quanto riguarda lo studio del norvegese, abbiamo svolto alcune lezioni private online con un insegnante madrelingua che parla anche italiano e successivamente abbiamo proseguito con vari corsi online.
Forse le difficoltà maggiori che abbiamo incontrato sono state relative all’ingresso nel sistema burocratico norvegese: da neoimmigrati ci sono voluti un paio di mesi per esplicitare le formalità e ottenere l’equivalente del codice fiscale e altre cose simili, che ci hanno poi permesso di accedere a tutto il resto, dall’apertura del conto in banca, alla sim norvegese…”
Spesso si guarda alle nazioni dell’Europa del nord come più civili e “avanti” rispetto a noi. Ti ritrovi in questa affermazione?
“In linea generale sì, perché nel mio immaginario definisco “più civile e avanzata” non tanto una nazione ricca, ma un Paese dove ci sia rispetto di tutti gli individui, accettazione, inclusione, meno giudizio, più equità e più tutela dei soggetti fragili. Un Paese dove ognuno si senta libero di essere se stesso senza essere stigmatizzato, escluso o etichettato. È bello vivere in un posto dove le possibilità superano i limiti, dove ci sono più porte aperte che sbattute in faccia.
E anche se mi manca la cultura intesa come “storia” che si respira in Italia, è questo il tipo di cultura che più di tutte apprezzo, che mi fa sentire grata del posto in cui vivo e che voglio trasmettere ai miei figli.
È brutto da dire, ma ho notato che è facile trovare questo tipo di apertura mentale in altri Paesi, e non solo in Norvegia, mentre in Italia spesso manca. Ed è triste che persone che si sentono affini a questa apertura siano costrette a spostarsi o non possano sentirsi realmente realizzate, a causa del contesto generale che mette i bastoni tra le ruote. “
Consiglieresti a un italiano di trasferirsi in Norvegia?
“Consiglierei a chi ama la Norvegia di trasferirsi, sì. Ma la Norvegia, e non è un cliché, non è per tutti. La Norvegia o la ami o la odi, non credo ci sia una via di mezzo. È un Paese che funziona bene e dove si può vivere serenamente, ma dipende da cosa si cerca.
Per chi ama il caldo e la movida, non è il Paese giusto. Non voglio scoraggiare nessuno: la Norvegia è un Paese grande, ma relativamente piccolo in termini di abitanti, e non è scontato riuscire a inserirsi e trovare lavoro ovunque e in qualsiasi ambito.
In più, il tenore di vita è alto, ma anche il costo, per chi non ha uno stipendio norvegese. Non si può improvvisare, bisogna pianificare bene il trasferimento, mettendo in conto anche gli investimenti di tempo e risorse necessari, senza farsi scoraggiare o demordere alle prime difficoltà.
Sono necessari spirito di adattamento e voglia di conoscere e capire, senza fermarsi a stereotipi e luoghi comuni. E vale ovviamente per la Norvegia, come per qualunque altro Paese. Lo shock culturale nel bene e nel male c’è.
Ci sono molte differenze tra nord e sud, tra zone interne e costiere, un po’ come in Italia. È diverso il clima, sono diverse le ore di luce e buio, sono diversi i dialetti, che qui sono vere e proprie lingue locali, che hanno origine dal norvegese bokmål che si parla solo a Oslo, ma che possono differenziarsi anche marcatamente da zona a zona. Noi abbiamo speso un bel po’ di tempo per capire quale fosse la zona adatta a noi nella pratica, romanticismo e sogni a parte.”
Come gestite i periodi di buio e i periodi di luce?
“Dove viviamo noi, non abbiamo mesi di luce crepuscolare completa o periodi in cui è sempre giorno, ma sicuramente la variazione tra estate e inverno c’è, e l’aumento e la riduzione di ore di luce sono molto più rapidi e marcati rispetto all’Italia. Per noi amanti della natura e della fotografia, è estasiante vedere come la luce renda speciale e diversa ogni stagione. Poi è una pacchia potersi godere i colori dell’alba in inverno senza dover fare alzatacce!
Mentre in Italia alba e tramonto sono molto brevi, qui nei momenti di transizione sono estremamente dilatati. Adesso, a maggio, il tramonto è alle 21:45 e l’alba alle 04:50, ma fa buio più o meno completo alle 23 passate e alle 4 comincia a rischiarare. Personalmente facciamo più fatica in estate con molta luce, perché il corpo è in costante attività e non ci si rende conto di che ora sia, col rischio di dormire sempre troppo poco.
Le tende oscuranti e la melatonina aiutano, in mancanza dei buoni vecchi “scuri” alla trentina. In inverno si è un po’ più stanchi, ma niente di drammatico, si dorme semplicemente di più. Cerchiamo di integrare la vitamina D e di stare il più possibile all’aria aperta. Poi, per chi ama la neve e lo sci, l’inverno è comunque sempre troppo breve!”
Tornassi indietro, faresti la stessa scelta?
“Assolutamente sì, è stata la scelta migliore che potessimo fare. Anche se, dovessi rifarlo adesso, non so se avrei l’energia, diciamo che è stata una bella salita in vetta.”
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