Italia & Estero
Miriam Adelson, l’israeliana nell’ombra che ha spinto Trump verso la pace
Miriam Adelson è la figura chiave e silenziosa dietro il recente accordo per la liberazione degli ostaggi in Medio Oriente, una presenza discreta ma decisiva che ha agito con determinazione per sbloccare uno dei momenti più drammatici della politica israeliana. La scena che ha rivelato la sua influenza al grande pubblico si è svolta alla Knesset, dove Donald Trump, durante un discorso ufficiale, l’ha chiamata per nome, chiedendole di alzarsi e mostrandola alle telecamere di tutto il mondo. Finora rimasta ai margini dell’attenzione mediatica, la miliardaria americana di origini israeliane è emersa come la forza trainante che ha convinto il presidente USA a spingere verso una soluzione diplomatica.
Ottantenne, ma con l’energia di una giovane attivista, Miriam Adelson è molto più di una semplice donatrice. Con un patrimonio stimato in circa 35 miliardi di dollari, ha sostenuto Trump con cifre colossali, donando almeno 100 milioni di dollari all’ultima campagna elettorale. Medico e filantropa, è anche l’editrice del quotidiano israeliano Israel Hayom, uno degli organi di stampa più diffusi nel Paese. La sua vita affonda le radici in Israele: nata a Tel Aviv e cresciuta a Haifa, è sempre stata vicina alle cause ebraiche e alle politiche pro-Israele, pur mantenendo un profilo riservato.
In passato, la sua figura è stata associata al sostegno incondizionato a Benjamin Netanyahu, ma il suo rapporto con l’ex premier si è incrinato in seguito a un episodio che lei ha vissuto come un tradimento. Quando Netanyahu fu coinvolto in un tentativo di accordo con l’editore rivale di Yedioth Ahronoth, finalizzato a limitare la diffusione di Israel Hayom in cambio di una copertura mediatica più favorevole, Miriam si è sentita profondamente delusa. Durante il processo per corruzione contro il premier, ha raccontato un episodio emblematico: “Mi ha detto che se l’Iran ottiene armi nucleari e Israele viene annientato, la colpa sarà mia perché non sto difendendo abbastanza Bibi”, avrebbe riferito Miriam, citando una conversazione con Sara Netanyahu.
Quella frattura ha segnato una svolta nella percezione pubblica di Miriam Adelson in Israele. Da “portafoglio di Bibi” e simbolo della destra americana, è diventata un riferimento morale e una figura di potere che ha agito con discrezione ma efficacia per la liberazione degli ostaggi. Ha incontrato le famiglie dei rapiti, ha fatto pressioni in ogni sede utile e si è spesa senza sosta per far uscire Israele dallo stallo politico ed emotivo che lo paralizzava.
Oggi, il suo ruolo dietro l’accordo di pace non è più un segreto. Gli israeliani hanno cominciato a vedere in lei non solo una potente sostenitrice politica, ma una donna determinata, capace di influenzare le decisioni internazionali senza cercare la ribalta. La sua azione è stata decisiva per ridare speranza a centinaia di famiglie e per riaccendere il dialogo in un momento di forte tensione geopolitica.
Con il suo stile inconfondibile – capelli bianchi lunghi, occhiali tondi e un look da popstar – Miriam Adelson è diventata il volto inatteso della diplomazia americana e israeliana, dimostrando che il potere può essere esercitato anche lontano dai riflettori, purché con lucidità, visione e profonda convinzione.
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