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Pericolo contagio: a casa anche il carceriere del piccolo Di Matteo poi sciolto nell’acido

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Franco Cataldo, 85 anni, stava scontando l’ergastolo: fu per due mesi custode del piccolo Giuseppe Di Matteo (foto) che poi fu barbaramente sciolto nell’acido.

E’ andato ai domiciliari perché malato e per pericolo che contraesse il covid-19.

Cataldo Franco, oggi 85 anni, custodì per alcuni mesi l’ostaggio nella sua masseria di Gangi tra l’estate e l’ottobre del 1994; in seguito il ragazzino subì diversi spostamenti prima di essere ucciso.

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Cataldo Franco aveva restituito il prigioniero con una laconica motivazione: siccome si avvicinava la stagione della raccolta delle olive, gli serviva il capanno che faceva da cella del ragazzino.

L’ergastolano è fuori dal carcere dal 28 aprile scorso ed era detenuto nel penitenziario di Opera (Milano): il suo nome fa parte dell’elenco di oltre 370 detenuti che in seguito al decreto sul coronavirus hanno beneficiato della scarcerazione per motivi di salute.

L’istanza di domiciliari era stata presentata dalla direzione carceraria. Cambia il capo del DAP ma non la linea del ministro di giustizia cinque stelle Bonafede. 

“Apprendiamo dai media che l’ergastolano Cataldo Franco, originario di Gangi (Palermo) e condannato per il sequestro e l’omicidio del piccolo Giuseppe Di Matteo, ha ottenuto la detenzione domiciliare. L’inammissibile notizia si aggiunge a quelle di altre scarcerazioni di personaggi di alta caratura criminale anche di camorra e ‘ndrangheta avvenute in questi giorni, e accresce il senso di profonda vergogna che proviamo al cospetto delle vittime della barbarie della mafia, di fronte a cui lo Stato dimostra così di cedere”.

E’ il duro commento di Valter Mazzetti, Segretario Generale dell’Fsp Polizia di Stato, alla notizia dell’ultima scarcerazione “eccellente”, questa volta dell’ergastolano Cataldo Franco, che si aggiunge alle altre venute alla ribalta delle cronache in queste settimane, fra cui l’altra altrettanto eclatante del boss di camorra Pasquale Zagaria.

Proprio da servitori di uno Stato per il quale tanti di noi hanno perso la vita – aggiunge Mazzetti – non possiamo nascondere l’orrore per il messaggio devastante che sta passando, delle Istituzioni che abdicano al proprio ruolo di garanti della giustizia, dell’equità sociale, della sicurezza, del rispetto dovuto ai cittadini onesti. Condannati per reati talmente gravi non possono e non devono andare a casa. La mafia, oltre tutto, vive anche di simbolismi, e un assassino condannato all’ergastolo che esce è un assassino che si fa beffe della legge.
La pena deve essere una certezza di fronte al massimo della riprovazione che lo Stato possa contestare. E’ indispensabile che il sistema metta in pratica ogni mezzo previsto per evitare uno scempio come la scarcerazione di un criminale, perché non c’è modo di far comprendere ai cittadini che chi ha preso parte al sequestro e al feroce omicidio di un bambino sciolto nell’acido può uscire di galera. E sinceramente non c’è modo per farlo digerire anche a noi che crediamo nella divisa perché crediamo nella missione di difendere i più deboli dalla violenza altrui”.
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