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Riforma della Magistratura: nulla di fatto dopo il confronto Governo-ANM

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Ieri si è svolto l’ atteso incontro tra Governo, in persona del Presidente del Consiglio Giorgia Meloni e il segretario dell’ ANM Cesare Parodi sul tema della riforma costituzionale della magistratura, impropriamente definita uso stampa “sulla separazione delle carriere”.

Impropriamente, perchè di fatto ad oggi questa separazione esiste ed è stata dettata in primo luogo, come in tutte le professioni, dall’ esigenza di specializzazione ed in secondo luogo è stata rafforzata e dunque ulteriormente ristretta dalla recente “riforma” penale Cartabia, che consente il passaggio dalla funzione requirente a quella giudicante e viceversa una sola volta nella carriera del magistrato, in luogo della precedente previsione di quattro “andate e ritorno”. Peraltro i numeri forniti dal Ministero della Giustizia confermano che questi travasi oggi costituiscono una percentuale irrisoria.

La cronaca ci dice che a Palazzo Chigi le posizioni delle parti sono state mantenute ferme ciascuno nel proprio ambito e dunque l’ incontro ha avuto un nulla di fatto, tanto che la rappresentanza sindacale dei magistrati ne ha preso atto ed ha preannunciato iniziative per sensibilizzare l’ opinione pubblica sulle proprie posizioni in vista dell’ referendum confermativo necessario per la modifica costituzionale e ha chiesto il dovuto rispetto per i magistrati.



Iniziative che dovrebbero spiegare tante cose, in primo luogo chiarire perchè si teme la sottoposizione del PM all’ esecutivo quando lo stesso testo dell’ art. 104 della Costituzione, nella versione della riforma governativa, puntualizza che l’ordinamento giudiziario è definito unico e distingue solo, coerentemente, le funzioni requirenti dalle funzioni giudicanti. Se dunque la magistratura è conservata come autonoma e indipendente e i pubblici misteri appartengono pur sempre alla magistratura, sia pure con diversità di funzioni, come si può affermare o temere il contrario?

Neppure il tema “separazione delle carriere” in senso stretto rappresenterebbe un problema, essendo già risolto dal vigente art 111 della Costituzione, che anche oggi, per fortuna, prevede parità tra accusa e difesa nel processo penale, con il giudice terzo rispetto alle parti e che dunque non condivide la “giurisdizione” in senso stretto con alcuno, neanche con il PM.

Piuttosto il punto nodale della contesa, a parere di chi scrive, è quello dell’ autogoverno della magistratura, che coerentemente si risolverà in forma sdoppiata per ciascuna funzione, ed ancora di più, quello della composizione di quegli organi di autogoverno, che la riforma governativa prevede a “sorteggio” degli eleggibili e non a nomina correntizia e con elezione dei designati come ora avviene.

Sistema questo fortemente avversato dall’ ANM che sul punto si arrocca in posizioni fortemente conservatrici dell’ attuale sistema, che ha reso possibile il sorgere e proliferare del “sistema Palamara” ove le carriere venivano decise non per merito e per anzianità, non dalla “ buona gavetta” per intenderci, ma secondo criteri amicali e di affinità politica – di caminetto, dicono i raffinati – oltretutto fortemente asimmetrici, poichè le leve di questo sistema sono tutt’ ora e fortemente in mano alla componente PM, che di fatto, oltre che autogovernare se’ stessa, decide pure delle sorti territoriali e di carriera dei magistrati giudicanti.

Orbene chi scrive, dubita fortemente che un tale sistema rientri nel rispetto chiesto da ANM per i magistrati e neanche nel dettato costituzionale dell’ art 111, che prescrive la terzietà del giudice, poiché è evidente che tale soggetto proprio terzo non è, se la sua carriera e collocazione territoriale, inamovibile, dipende da una delle parti del processo o da una sua emanazione associativa, il che è lo stesso.

a cura di Stefano Sforzellini

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