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Benessere e Salute

Dipendenza affettiva: quando l’amore diventa una trappola

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Il bisogno di ricevere affetto dalle proprie figure di riferimento e la complementare capacità di dare loro affetto rappresentano due elementi naturali dell’Uomo, indispensabili per lo sviluppo personale e il benessere psicofisico.

Se in età evolutiva tali figure coinvolgono soprattutto i genitori, in particolare la madre, in età adulta l’oggetto e il soggetto d’amore abbracciano la sfera romantica.

Evolvendo dall’innamoramento all’instaurarsi di una relazione stabile, una coppia sentimentale è frutto dell’incontro di due individualità che, ben consapevoli della propria identità, si aprono all’Altro, originando un reciproco concatenamento costruttivo, basato sull’alternanza dei ruoli di donatore o beneficiario di amore.

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Un rapporto che mantiene il desiderio per l’Altro, regalando piacere, gioia, appagamento e complice senso di appartenenza ad entrambi i membri.

Tuttavia, la presenza di un’incompleta costruzione del Sé, unita ad un’ingestibile paura dell’abbandono e della separazione e a difficoltà nell’autostima, possono irrigidire la reciprocità di tali ruoli, trasformando il desiderio di amore di quel membro in bisogno compulsivo di un incatenamento simbiotico ed esclusivo.

L’Altro è quindi concepito come un necessario completamento di Sé, ossessivamente ricercato nell’utopica speranza di ricevere un amore pieno e assoluto che non potrà mai in realtà essere ottenuto. La relazione è insoddisfacente, umiliante, incompatibile e disallineata, poiché fondata sul malsano sentimento amoroso sperimentato dal soggetto “dipendente affettivo”.

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Pur non configurando una diagnosi clinicamente sistematizzata, il fenomeno psicologico della “dipendenza affettiva” è attualmente riconosciuto dal Manuale Diagnostico e Statistico dei Disturbi Mentali (DSM 5) tra le “New Addictions”.

Questa categoria racchiude le cosiddette dipendenze comportamentali, derivanti dalla riproduzione persistente di normali attività, lecite e socialmente accettate, che diventano patologiche nel momento in cui l’individuo ne perde la capacità di controllo.

Ciò genera una compromissione pervasiva (e consapevole) della vita del “dipendente”, a livello emotivo, socio-relazionale, cognitivo ed economico.

In particolare, la “dipendenza affettiva” identifica la tendenza a intessere legami dominanti o sottomessi oppure a invocare l’aiuto altrui in modo prevaricante o arrendevole.

Il “dipendente affettivo” soffoca la propria individualità in favore della spasmodica richiesta dell’approvazione dal proprio partner, vissuto come l’oggetto di dipendenza, bramato e gratificante: l’amato diventa la fonte di sicurezza e salvezza, il vero fulcro della propria esistenza, altrimenti vuota e insignificante, riempita attraverso la totale dedizione all’Altro per ottenere le ambite attenzioni e rassicurazioni.

Si crea così una vera e propria fusione dell’identità del “dipendente affettivo” con quella dell’amato. D’altra parte, in quanto eccessivi e irrealistici, questi bisogni – e il partner/salvatore – non possono che originare sofferenza e isolamento nel “dipendente affettivo” per l’impossibilità, l’incapacità o la non volontà dell’amato di soddisfarli.

Come nel più tipico degli episodi di dipendenza “fisica”, l’alternanza di esperienze positive e negative rafforza il processo di dipendenza affettiva: il progressivo aumento delle aspettative verso il partner si accosta alla riduzione della tolleranza della sua assenza, fino al possibile sviluppo di gelosia eccessiva e ossessione di possesso.

Una simile relazione disadattiva, in sé dannosa per entrambi i membri, può ulteriormente aggravarsi nel caso in cui il partner riesca a scatenarsi da essa, fuoriuscendo così dalla rigida complementarietà dei ruoli.

Infatti, il suo rifiuto e – se raggiunta – la rottura del rapporto con il “dipendente affettivo” può rappresentare il terreno fertile per un’evoluzione verso forme di malessere psicologico ancora più gravi e penalmente perseguite: la sindrome delle molestie assillanti, o stalking.

I precedenti comportamenti di controllo assoluto e accondiscendenza verso l’amato diventano persecuzioni continue (pedinamenti, telefonate ripetute, doni indesiderati…), minacce verbali e – nei casi più estremi – vere e proprie aggressioni fisiche.

Un’evoluzione che può essere anticipata – e interrotta – soltanto attraverso la consapevolezza dell’amato di essere incatenato in un legame patologico e la conseguente richiesta di aiuto protettivo per sé, e un supporto terapeutico per il “dipendente affettivo”.

 

Il contributo per La voce di Bolzano è del Dr Michele Piccolin, psicologo, perfezionato in psicologia e neuropsicologia forense, con la collaborazione della Dr.ssa Paolina Rosani.

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