“Sono vivo, ma dentro di me tutto è morto”. Con queste parole, pubblicate su Instagram, Roei Shalev ha scelto di chiudere un capitolo tragico della sua esistenza, segnato indelebilmente dal massacro del Nova Festival del 7 ottobre 2023. Un messaggio lacerante, lasciato prima di togliersi la vita a soli 30 anni. Il suo corpo è stato ritrovato il 10 ottobre 2025 in un’auto bruciata vicino al mare, a Netanya, nel centro di Israele. Un epilogo devastante che riaccende i riflettori sul trauma profondo vissuto dai sopravvissuti dell’attacco di Hamas, in cui morirono 379 persone.

Nel cuore della notte più buia, Roei aveva tentato di salvare la sua fidanzata Mapal e la sua migliore amica Hilly, colpite a morte mentre fuggivano dall’inferno scatenato dalle Brigate Ezzedin al-Qassam. Anche lui fu ferito, e si salvò solo fingendosi morto per sette ore, coperto dal sangue di Mapal. Da allora, non era mai riuscito a scrollarsi di dosso l’orrore. Poche settimane dopo l’attacco, perse anche la madre, morta suicida. Un accumulo di dolore insostenibile, che ha trovato sfogo nella sua ultima, tragica decisione.

Nelle sue parole finali, pubblicate sui social, Roei scriveva: “Mi dispiace, non riesco più a sopportare questo dolore. Voglio che la sofferenza finisca. Sono vivo, ma dentro di me tutto è morto. Per favore, non siate arrabbiati con me.” Il messaggio ha fatto scattare immediatamente l’allarme tra amici e conoscenti, in particolare nella comunità dei sopravvissuti del Nova Tribe, di cui Roei era un punto di riferimento. Ma era già troppo tardi.

Il dolore di Roei è lo stesso che consuma molti altri giovani sopravvissuti a quella notte di sangue e terrore. Oltre alle vittime, 44 persone furono rapite e portate a Gaza, e le ferite psicologiche di chi è tornato sono ancora oggi aperte. Secondo il quotidiano Haaretz, le condizioni mentali di molti sopravvissuti stanno peggiorando. SafeHeart, un’associazione che offre supporto psicologico, ha registrato un aumento triplo delle richieste d’aiuto psichiatrico.

Non è un caso isolato. A ottobre, anche Shirel Golan, 22 anni, un’altra sopravvissuta al massacro, si è tolta la vita. Secondo fonti giornalistiche – non confermate dal Ministero della Salute israeliano – i suicidi tra i sopravvissuti sarebbero molti di più.

Un anno fa, in un’intervista a Mako, Roei si era definito “un caso ambulante di disturbo post-traumatico”, confessando di sentirsi colpevole per essere sopravvissuto e di desiderare di aver potuto morire al posto della sua fidanzata. “Ho perso molto. Fa male, e mi farà male per il resto della mia vita. Immagino, e spero, che con il tempo il dolore svanirà”, diceva allora.

Ma il tempo non ha guarito nulla. La sorella di Mapal, Maayn Adam, ha scritto su Instagram: “Roei è stato ucciso il 7 ottobre ed è morto venerdì. Spero che questi due bambini siano ora abbracciati, sorridenti, con i loro cuori ancora una volta uniti.” Nelle loro foto insieme, scattate poco prima che l’incubo iniziasse, sembravano felici, liberi, innamorati. Ballavano, ridevano, si baciavano al tramonto. Poi, Hamas ha portato via tutto.

Il suicidio di Roei Shalev non è solo una tragedia personale, ma un grido muto che denuncia il peso insostenibile del trauma collettivo. Una ferita aperta nella società israeliana, e un monito sulla necessità urgente di supporto psicologico per chi ha vissuto l’inferno e torna in un mondo che non riconosce più.