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Dazi, populismo e geopolitica: il bulldozer Trump torna alla carica

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Trump ottuso e vendicativo? Trump vuole distruggere l’Europa? La sua è malvagità pura? Forse, più semplicemente, è cinico pragmatismo.

In una recente intervista alla RAI un docente di economia industriale della Luiss di Milano ha affermato che il discorso sui dazi è presente nell’agenda americana da decenni, e questo perché il sovraindebitamento degli Stati Uniti è pesante perché importa più di quello che esporta. Sembrerebbe quindi che Trump agisca secondo la modalità: “E’ un lavoro sporco, ma qualcuno deve pur farlo”.

Diciamo che la diplomazia del chiomato non è il suo forte, e sembrerebbe quasi che nel suo DNA ci sia più bullismo che razionalità nel dialogo dentro e fuori dal Paese a stelle e strisce, a meno che il dialogo non sia caratterizzato da una sudditanza psicologica nei suoi confronti ed una contropartita che sia vantaggiosa per gli Stati Uniti.



Come un giocatore di bocce che sta cercando la traiettoria giusta per arrivare al pallino partendo dal dividere le bocce con un tiro spaccatutto. Le bocce in questo caso sono l’Europa, il Commonwealth e una miriade di altri Paesi che finiranno nel mirino dei dazi sapendo che non posso fare a meno degli USA, almeno per ora.

Noi europei abbiamo più problemi, a partire dal fatto che avendo l’euro sopravvalutato rispetto alla nostra reale capacità produttiva, siamo poco competitivi in termini di prezzo, pur cercando di virare gli obiettivi dell’export su mercati come India, Messico eccetera.

Ma se guardiamo come esempio il solo comparto vitivinicolo, ora che si rinnovi l’intera filiera organizzativa per ammortizzare le enormi perdite date dalla chiusura del mercato americano (comparto che dall’annunciata intenzione di reintrodurre i dazi sta perdendo cifre imponenti) e sostituirlo con altri mercati, ci vorrà molto tempo.

E il messaggio del Presidente agli americani è di bersi vini californiani e chi vuole quelli europei li strapagherà. E così per molti settori agroalimentari, ma se si guarda l’insieme vengono i brividi.

Altro nodo saliente è che l’Europa è tutto meno che unita, e Ursula von der Leyen non sembra avere carisma sufficiente per chiedere ai cittadini UE di fare grossi sacrifici in attesa del lungo lavoro di effettiva costruzione della stessa. Un’Europa finalmente coesa e unita nelle intenzioni, partendo ad esempio, per restare in ambito economico, dall’unificazione dei centri di costo.

Trump per contro questo carisma populista lo possiede, ed è un carisma che, se da noi fa ridere per quanto possa sembrare eccessivo, grottesco e contraddittorio, sugli americani fa presa anche quando chiede loro di fare grossi sacrifici pur di rendere di nuovo grande l’America.

Ne è riprova il fatto che molti elettori trumpiani stanno perdendo il posto di lavoro per la sforbiciata agli Enti federali, e quelli di origine prevalentemente latina vengono sottoposti a serrati controlli per verificare se sia lecita o meno la loro permanenza negli Stati Uniti. Inoltre, si stanno già verificando collassi finanziari e più realtà imprenditoriali stanno arrancando in attesa della mazzata finale.

Nonostante ciò, la popolarità del presidente Usa è ancora alta, e il fatto che nel resto del mondo stia precipitando e che la reputazione degli Stati Uniti rischia di finire sottozero, ai cittadini statunitensi sembra importi poco, quello che realmente importa all’americano medio e che l’America torni grande, anche a costo di fare come Tafazzi, e che una grande quantità di clandestini e/o malavitosi siano rispediti in catene nei loro paesi di origine. Considerando quali sono la maggior di questi paesi probabilmente sarà per loro peggio della galera sul suolo americano.

Insomma, Trump sta incendiando il mondo e l’Europa rischia di trovarsi a fare una sorta di neo-resistenza (speriamo solo economica) come quando l’intero continente era occupato dai tedeschi.

Per pura coincidenza Trump (il cui cognome in realtà dovrebbe essere  Drumpf) è di origini tedesche, delle quali va fiero.

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