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Società

Femminicidio, Zucali:”Creare uno sportello psico sociale di prevenzione per arginare il fenomeno”

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Foto sociologicamente.it
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Donne uccise da uomini, perché sono donne. Questo è il femminicidio.

Un massacro, a vedere i numeri. Più di cento casi all’anno in Italia. Un totale di circa 600 omicidi negli ultimi quattro anni. Significa che in Italia ogni due giorni (circa) viene uccisa una donna.

Resta impressionante, nonostante il trend in lieve calo, il numero dei casi di femminicidio nel nostro Paese, 3mila dal 2000 ad oggi.

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Ne abbiamo parlato con Francesca Zucali, psicologa e psicoterapeuta, specializzata in psicologia del Ciclo di Vita e con formazione in psicologia dell’emergenza.

E’ possibile circoscrivere le cause di una tendenza che anche in Alto Adige non accenna a diminuire?

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Sicuramente si tratta di un fenomeno che gode di alta risonanza anche grazie ai media. Un trend che dal mio punto di vista dovrebbe rallentare è proprio quello dell’eccessiva esposizione mediatica, soprattutto a livello di social network, di tutti quei casi di omicidio in cui la vittima è la donna.

Il pericolo della superficialità di giudizio su quelle che sono le delicate dinamiche della relazione di coppia è in questo senso molto alto. Evitare gli stereotipi maggiormente utilizzati come quello dell’uomo violento o della donna mantenuta è importante per capire che il femminicidio è la risultante di una serie aggregata di concause non sempre circoscrivibili o riconducibili alla stessa tipologia di persone e circostanze.

Cosa si può fare a livello sociale e territoriale per prevenire che situazioni difficili sfocino in omicidi efferati?

La coppia non va lasciata sola. A livello di territorio ciò che manca è una rete di prevenzione che si faccia carico della cura e del benessere psicologico dei coniugi e della famiglia. Parliamo di una sinergia locale tra enti e servizi che permetta un monitoraggio attento delle situazioni di questo tipo.

E la prevenzione nasce soprattutto nel momento in cui si mette mano a una situazione non ancora degenerata. Agli albori della crisi, individuale, di coppia o famigliare, è un vantaggio rivolgersi subito a una rete di specialisti.

Cosa muove maggiormente la mano del femminicidio quando un uomo arriva a pensare di uccidere la madre dei propri figli?

La disperazione. La convinzione che non esistano vie di uscita alternative a una situazione economica e affettiva disperata. Anche i divorzi e il ricatto affettivo  possono mettere a dura prova l’equilibrio psico emotivo degli uomini che vedendosi privati dei propri beni, e magari anche dei figli, reagiscono con l’aggressività.

Non bisogna sottovalutare l’aspetto emozionale di quegli uomini che fanno più fatica ad esprimere le proprie emozioni. Importanti in questo senso sono i messaggi che si imparano in origine all’interno del nucleo famigliare, e tutto ciò che arriva a livello di affettività e comunicazione. Si può far acquisire la consapevolezza dell’esistenza di dinamiche di conflitto anche all’interno della famiglia aiutando i figli a rielaborarle in maniera positiva.

Purtroppo, quello che al giorno d’oggi non si acquisisce spesso è la tolleranza alla frustrazione. L’incapacità di riconoscere l’esistenza di un problema e il conseguente superamento dello stesso.

Il ponte della famiglia di origine è la base per stabilire in futuro una relazione sana rispetto a queste dinamiche. Perché è nel modello famigliare che si propongono i modelli di relazione e gestione dei conflitti.

Oltre gli stereotipi c’è una riflessione da fare sul cambiamento del rapporto di coppia negli ultimi decenni e dei ruoli al suo interno?

L’analisi delle problematiche sociali e culturali legate allo sviluppo dei rapporti tra uomo e donna anche nella coppia è un aspetto fondamentale su cui basare una riflessione sul problema della violenza di genere che nei casi estremi sfocia nel femminicidio.

La donna si è emancipata ed è quindi percepita come più forte rispetto a un tempo. Una forza che può spaventare e può portare l’uomo ad avvertire una perdita del proprio ruolo, anche se questo non è certamente il messaggio che le donne vogliono far passare.

Altri aspetti importanti del conflitto potenziale nella relazione sono quello economico e del ricatto affettivo. Nel caso di una separazione in vista, può verificarsi un aumento dell’aggressività da parte dell’uomo, ma anche della donna.

Una risposta dettata dalle paure e dalla pressione emotiva. Ma anche nei casi di problemi economici e di lavoro già esistenti possono saltare equilibri importanti dal punto di vista sentimentale e famigliare.

In questo senso la figura del legale è centrale per ciò che riguarda la mediazione, anche se quello patrimoniale non è l’unico aspetto su cui incentrare una riflessione seria sulla prevenzione del conflitto nella coppia.

Portare i coniugi sulla strada della comunicazione, soprattutto se ci sono figli, è uno dei passi fondamentali.

E anche questo è prevenzione.

Come si opera in questo senso per la prevenzione?

E’ necessario prima di tutto porre attenzione alla cultura del benessere psicologico dei cittadini.

Aprire spazi di sportello per uomini e donne che stano attraversando momenti difficili, come può capitare quando ci sono incertezze sulla funzione genitoriale, difficoltà economiche o problemi legati all’incompatibilità di coppia.

Spazi gestiti da professionisti del settore, pensando per esempio alla creazione dello “psicologo di quartiere”, in sinergia con i medici di famiglia.

E’ importante dare spazio di apertura al confronto, all’appoggio, al lavoro sulla coppia senza creare conflittualità reciproche. Non si può certo obbligare i coniugi ad andare a farsi supportare ma si può sviluppare la cultura del chiedere aiuto attraverso la divulgazione dell’esistenza di mezzi di prevenzione.

Uno sportello psico sociale, ad esempio, perché passi il messaggio che non si è soli, che una via di uscita esiste sempre, anche nelle situazioni più difficili.

Come già accennato, molto possono fare anche i legali che si occupano di separazione nel loro ruolo di mediatori “patrimoniali”.

Parliamo quindi di una rete di servizio psico sociale radicata sul territorio e operativa in più ambiti per fare sì che molte situazioni non finiscano in tragedia?

In definitiva parliamo di restituire una possibilità di vita a chi sta per perderla o ne è convinto.

Molti uomini non sanno parlare di sé, delle proprie emozioni e questo è un altro elemento da non sottovalutare nella fase di crisi di coppia e non solo. 

La prevenzione rimane a mio parere l’arma principale per arginare il fenomeno.

 

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