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Riforma sanitaria e crisi dei medici di famiglia: un sistema che rischia di crollare

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Ogni cittadino iscritto al Servizio Sanitario Nazionale ha diritto a un medico di medicina generale, noto come medico di famiglia, che rappresenta il primo punto di riferimento per l’accesso ai servizi sanitari essenziali.

Sebbene questi professionisti lavorino in convenzione con le Aziende Sanitarie Locali, il loro ruolo è regolamentato da accordi nazionali, regionali e aziendali.



La riforma dell’assistenza territoriale, inserita nel Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza (PNRR), mira a rendere la sanità più accessibile e a ridurre le disuguaglianze attraverso un nuovo modello organizzativo del Servizio Sanitario Nazionale. L’obiettivo è migliorare gli standard qualitativi di cura, garantire uniformità nei servizi su tutto il territorio e favorire la continuità assistenziale per le persone in condizioni di fragilità o con patologie croniche.

Tra le principali novità della riforma figurano le Case della Comunità , strutture aperte fino a 24 ore su 24, concepite per offrire un’assistenza di prossimità ai cittadini. Inoltre, è stato istituito il numero unico 116117 , un servizio telefonico gratuito per richieste sanitarie non urgenti, e le Centrali Operative Territoriali , che coordinano i diversi servizi sanitari e sociali.

Un’altra innovazione è l’introduzione dell’ Infermiere di Famiglia e Comunità , una figura di riferimento che assicura l’assistenza infermieristica sul territorio.

Per migliorare l’efficienza del sistema sanitario sono stati potenziati anche i servizi di assistenza domiciliare , con interventi sanitari personalizzati, e gli Ospedali di Comunità , strutture intermedie pensate per gestire pazienti che necessitano di cure a bassa intensità. Inoltre, la rete delle cure palliative è stata rafforzata per offrire un supporto adeguato ai pazienti e alle loro famiglie.

Un altro pilastro della riforma è la telemedicina , che consente ai professionisti sanitari di erogare prestazioni a distanza, migliorando l’accesso alle cure e riducendo i tempi di attesa.

Tuttavia, il sistema sanitario italiano si trova ad affrontare una significativa carenza di medici di famiglia. Secondo il rapporto della Fondazione GIMBE, al 1° gennaio 2023 erano operativi 37.860 medici di base, con una media di 1.353 assistiti per ciascuno. In alcune aree, questo numero può arrivare fino a 2.000 pazienti per medico. Con il previsto pensionamento di circa 11.400 professionisti entro il 2026, si stima una carenza di oltre 3.100 medici.

A fronte di questa emergenza, il Governo sta valutando la possibilità di trasformare lo status dei medici di famiglia da liberi professionisti a dipendenti pubblici.

Tuttavia, questa decisione potrebbe avere ripercussioni significative sul sistema previdenziale, gestito dall’ENPAM, l’ente che attualmente garantisce le pensioni ai medici di famiglia e ai pediatri di libera scelta. L’ENPAM ha avvertito che il trasferimento del contributo all’INPS comporterebbe un costo stimato di 84 miliardi di euro, mettendo a rischio la sostenibilità del sistema pensionistico per la categoria.

La riforma della sanità territoriale rappresenta un passo importante per migliorare l’efficienza del sistema sanitario, ma la questione della carenza di medici e del loro inquadramento contrattuale resta un tema critico che necessita di un’attenta valutazione per evitare conseguenze negative sulla qualità dell’assistenza ai cittadini.

 

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