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Trentino, la protesta contro orsi e lupi: “Non siamo più liberi di vivere la nostra terra”

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Un grido d’allarme si leva dalle valli del Trentino: “Non siamo più liberi di vivere la nostra terra”. È l’incipit di una lettera accorata inviata da un gruppo di cittadini a numerosi ministeri e autorità, nazionali e locali, per denunciare una situazione che definiscono ormai insostenibile. Tra i destinatari figurano il Ministro dell’Ambiente Pichetto Fratin, la premier Giorgia Meloni, la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen, l’europarlamentare Herbert Dorfmann, il governatore del Trentino Maurizio Fugatti, oltre a dirigenti provinciali, prefetti e sindaci.

La lettera, più che una semplice denuncia, rappresenta l’appello disperato di una popolazione che si sente ostaggio della fauna selvatica. I firmatari, residenti della Valle dei Laghi e delle valli limitrofe, denunciano la presenza “soffocante” e “pericolosa” di orsi e lupi, una situazione che, a loro dire, minaccia la sicurezza e la qualità della vita quotidiana.

Al centro della polemica c’è il progetto Life Ursus, avviato negli anni ’90 per reintrodurre e tutelare l’orso bruno sulle Alpi. Un’iniziativa nata con intenti conservazionistici, ma che oggi, secondo i cittadini, si è trasformata in un problema ingestibile. Gli avvistamenti di orsi nei centri abitati sono sempre più frequenti, le predazioni avvengono in pieno giorno e il senso di insicurezza cresce.



“Non possiamo più godere dei nostri giardini la sera, i bambini non giocano più all’aperto, e ci si guarda le spalle anche solo per andare all’auto all’alba”, scrivono i residenti, raccontando episodi di animali domestici sbranati vicino alle case, recinti superati con facilità e notti insonni scandite dai versi strazianti delle prede.

Un caso emblematico si è verificato il 15 marzo scorso a Covelo, nel Comune di Vallelaghi. Un orso, definito “confidente” per la sua abitudine a frequentare zone antropizzate, ha fatto irruzione in una proprietà privata, uccidendo sei animali da cortile nonostante fossero custoditi in un ricovero regolare. Per quattro notti consecutive l’animale è tornato, ignorando ogni tentativo di dissuasione. Le immagini delle telecamere di sorveglianza hanno fatto rapidamente il giro del web, alimentando il malcontento.

Ma il problema non riguarda solo la sicurezza. Le ripercussioni economiche sono sempre più gravi, soprattutto per agricoltori e allevatori. “Chi lavora nei boschi per raccogliere legna, chi coltiva la terra per autoconsumo o gestisce una malga in altura – raccontano – vive con il timore costante di un incontro ravvicinato. Alcuni appezzamenti sono già stati abbandonati.”

La paura si traduce in danni concreti: “Gli animali feriti o traumatizzati non producono più, le malghe rischiano l’abbandono, e con esse l’equilibrio idrogeologico delle montagne.” Un effetto domino che, secondo i firmatari, minaccia la sostenibilità stessa della vita in montagna.

Di fronte all’emergenza, la protesta si è trasformata in azione. Nel 2024, quattro comunità di valle – Val di Sole, Val di Non, Altopiano della Paganella e Valle dei Laghi – hanno promosso consultazioni popolari. I risultati parlano chiaro: 26.707 persone hanno votato contro la presenza dei grandi carnivori, ritenendola incompatibile con la sicurezza e lo sviluppo del territorio.

I cittadini chiedono ora interventi concreti. “Servono azioni urgenti di contenimento e deterrenza. Vogliamo riappropriarci dei nostri spazi di vita e lavoro, tornare alla vivibilità pre-Life Ursus.” Nella lettera si fa anche riferimento a possibili azioni legali: se nulla verrà fatto, si preannunciano esposti penali contro enti, amministrazioni e persino contro i responsabili del progetto europeo.

Ma dietro la protesta si cela un tema più ampio e complesso: il difficile equilibrio tra tutela ambientale e diritti delle comunità locali. La convivenza tra uomo e grandi carnivori, un tempo sostenibile, sembra oggi messa in discussione. Il Trentino si trova così al centro di un dibattito che potrebbe ridefinire l’intero modello di gestione della fauna selvatica in Europa.

Al momento, le istituzioni sembrano prendere tempo. Alcune risposte sono arrivate, altre no. Ma tra i cittadini cresce la frustrazione: “Non vogliamo più parole. Vogliamo risultati.”

Quella che un tempo era la terra simbolo del ritorno dell’orso potrebbe ora diventare il primo laboratorio di un nuovo approccio alla gestione dei grandi carnivori. Ma perché ciò avvenga, avvertono i residenti, la voce di chi vive ogni giorno la montagna non può più essere ignorata.

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