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Videogiochi in quarantena, lo psicologo: “Serve una supervisione costante dei genitori”

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In questo periodo di isolamento e quarantena per molti ragazzi i videogiochi potrebbero diventare il passatempo primario, andando a sottrarre tempo alle attività scolastiche o ad altri svaghi altrettanto piacevoli e creativi.

E’ importante, soprattutto in questo momento, che i genitori siano vicini ai figli e concordino insieme a loro delle regole chiare di utilizzo per evitare di incorrere in rischi.

Ma quali sono i pericoli di un utilizzo eccessivo e non controllato dei videogiochi?



Se prendiamo ad esempio Fortnite, uno dei giochi più popolari degli ultimi anni, notiamo subito che alla base ci sia una forma evidente di aggressività, in quanto lo scopo è quello di eliminare, con l’uso delle armi, gli altri concorrenti. Sebbene studi e ricerche longitudinali abbiano dato risultati contrastanti circa l’eventuale influenza negativa dei giochi violenti sui comportamenti dei minori, è necessario riflettere sul fatto che esporre i ragazzi a scene cruente possa renderli meno sensibili a filmati violenti, andando di fatto a normalizzare atti di prepotenza.

I videogiochi sono stati ideati per attivare meccanismi di azione-ricompensa andando a stimolare il sistema dopaminergico, responsabile dei comportamenti di dipendenza. Tutto questo è possibile attraverso la creazione di brevi sessioni di gioco che permettono, in un tempo limitato, di raggiungere l’obiettivo ed ottenere così una ricompensa immediata. Il giocatore attiva, in questo modo, una corsa continua a raggiungere i livelli successivi, perdendo di vista la percezione del tempo e il contatto con la realtà.

A questo si aggiunge il rischio di adescamento di minori da parte di malintenzionati. Molti videogiochi danno, infatti, la possibilità ai giocatori di comunicare tra di loro durante le sessioni di gioco per mezzo di chat, audio e video, permettendo così avvicinamenti ingannevoli nei confronti dei minori.

Come possono i genitori aiutare i propri figli ad un utilizzo moderato e più consapevole dei videogiochi?

Occorre prima di tutto stabilire limiti di tempo di utilizzo del videogioco facendo rispettare i tempi stabiliti, e prevedendo la perdita di un privilegio (ad es. utilizzo del cellulare o guardare la tv) nel caso in cui la regola non sia stata rispettata.

Un problema che si pone spesso nel limitare il tempo è che i videogiochi funzionano a piattaforme da raggiungere e, una volta entrati in un livello, bisogna aspettare di raggiungere il traguardo per poter salvare il gioco. In questo caso si può avere un po’ di flessibilità, a patto che il gioco termini immediatamente dopo il salvataggio. 

Bisogna, inoltre, tener conto che alcune fasce di tempo sono altamente sconsigliate come ad esempio prima di andare a dormire, in quanto il gioco potrebbe influire sulla qualità del sonno.

E’ importante che il genitore sia informato sui contenuti del videogioco e controlli l’età minima consentita. Può essere utile chiedersi che immagini presenta il gioco, se prevede scenari violenti, che tipo di linguaggio utilizzano i personaggi e quali messaggi positivi o negati veicola indirettamente. I ragazzi, lasciati da soli davanti al computer, infatti, non sono spesso in grado di comprendere i significati profondi che il programmatore ha tentato di dare all’ambientazione e hanno bisogno di un adulto vicino che supervisioni e dia il giusto significato alle scene. E’ bene spiegare che nella vita reale l’uso della violenza è inaccettabile e che ha conseguenze negative e dannose. 

Prima di acquistare un videogioco nuovo il genitore può affidarsi ai descrittori della classificazione PEGI, che informa attraverso alcuni codici i contenuti e il limite di età.

Ricordiamoci sempre che i ragazzi ci osservano e che siamo per loro un valido modello di comportamento. Se anche il genitore condivide la passione per i videogiochi è bene che si attenga alle stesse regole che impone al figlio.

 

Il contributo per La Voce di Bolzano è della Dott.ssa Alice Panicciari, psicologa dell’infanzia e adolescenza, esperta in Psicologia Scolastica e Disturbi Specifici dell’Apprendimento. Svolge da anni consulenze alle famiglie, lavora nelle scuole all’interno dello sportello di ascolto psicologico “Parliamone” e segue alcuni progetti di prevenzione e formazione per il personale docente.  

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