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Ecco quali sono i Paesi più pericolosi al mondo e perché

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La geografia della criminalità e della violenza mondiale non è mai stata così complessa e frammentata. Una combinazione letale di criminalità dilagante, conflitti armati senza fine, instabilità politica e corruzione endemica classificano alcuni Paesi tra i più pericolosi al mondo.

Questo mix esplosivo di fattori genera situazioni pericolose sia per chi vive in questi territori, sia per chiunque decida di varcarne i confini. Ma cosa determina la pericolosità di un Paese? La risposta non è semplice, ma strumenti di ricerca come il Crime Rate e il Global Peace Index (GPI), senza dimenticare – sempre a livello internazionale – il settore criminologico del nostro Ateneo con autorevoli centri di studio del fenomeno, eredità di Transcrime, che ci consentono di fare un’analisi chiara e precisa e offrono una base solida per classificare i Paesi più pericolosi al mondo.



Il primo, Crime Rate, misura il numero di crimini commessi rispetto alla popolazione. Il secondo, il Global Peace Index, prende in considerazione 23 parametri relativi alla sicurezza, tra cui la presenza di conflitti, l’armamento, l’instabilità politica e le violazioni dei diritti umani.

Tuttavia, entrambi questi indicatori presentano limiti. Ad esempio, in molti Paesi in via di sviluppo, la criminalità potrebbe essere sottostimata a causa di un sistema giudiziario inefficace (quello è trasversale) o di una scarsa capacità di registrare i crimini. Inoltre, mentre il GPI misura la “pace” in senso ampio, includendo le tensioni geopolitiche, le guerre e la stabilità politica, i dati possono essere influenzati da fattori soggettivi e variabili a breve termine.

Ma quali sono i Paesi con il più alto tasso di criminalità?

Secondo i dati del World Population Review 2024, i Paesi più pericolosi in termini di Crime Rate sono: Venezuela; Papua Nuova Guinea; Afghanistan.

Questi numeri ci parlano di Stati in cui la criminalità non è solo una questione di furti o aggressioni, ma un vero e proprio sistema sociale e politico disfunzionale. In queste nazioni, la violenza quotidiana è alimentata dalla povertà estrema, dalla mancanza di un’efficace forza di polizia e dalla presenza di organizzazioni mafiose o terroristiche. In Venezuela, ad esempio, la carenza di risorse e la corruzione sistemica hanno dato spazio a gruppi armati che controllano ampie aree del territorio, alimentando un clima di paura costante.

Suonerà strano vedere al secondo posto la semisconosciuta Papua Nuova Guinea, fino a cinquant’anni fa territorio australiano (il nord fino al 1919 era colonia tedesca), tuttora inserito nel Commonwealth e il cui Capo di Stato (non di Governo) è re Carlo III.

Altrettanto strano è che una dittatura radicale come quella di Maduro in Venezuela non riesca a mantenere l’ordine e tenere sotto controllo la criminalità, ma i fattori sono quelli già menzionati, e un po’ di mano larga se i gruppi armati sono filogovernativi e bastonano il popolo sottomesso. Per l’Afghanistan c’è poco da dire, il crimine già lo crea lo Stato uccidendo i diritti e chi li rivendica, soprattutto quelli delle donne.

Anche Haiti è un disastro  nel disastro (tra terremoti e uragani), se atterra un cargo di aiuti si portano via tutto compresi i bulloni dell’aereo. E vederlo dietro ai primi tre può significare anche l’impossibilità di raccogliere dati precisi, a meno che non si abbiano tendenze suicide. Anche il Sudafrica e l’Honduras figurano tra i Paesi con i più alti tassi di criminalità, dove la povertà cronica e l’assenza di leggi eque aggravavano il quadro.

E per il Sudafrica molto conta la non ancora sopita voglia di vendetta dei cittadini di colore rispetto ai bianchi, frutto di anni di soprusi durante l’apartheid. Ne consegue che omicidi, estorsioni, traffico di droga, corruzione e tutto lo scibile dei reati sembrano governare queste società.

Accanto ai reati comuni vengono considerate l’instabilità politica e i conflitti armati, misurati dal Global Peace Index, e questo è il secondo grande fattore, collegato al primo, che determina la pericolosità di un Paese. Tra i Paesi meno pacifici, troviamo quindi: Yemen; Sudan; e come visto il Sudafrica.

Anche l’Ucraina e la Siria non se la passano bene e continuano a vivere in una condizione di violenza e guerre anche intestine (pensate al Dombass) che sembrano non trovare una fine. Una guerra perenne insomma, con milioni di persone che vivono costantemente sotto la minaccia di attacchi, deportazioni e violazioni dei diritti umani.

La Repubblica Democratica del Congo, ad esempio, è non solo da ora (come molta Africa purtroppo) teatro di conflitti armati che coinvolgono diverse fazioni e che hanno portato il Paese a un punto di rottura e quindi al caos, il migliore alleato della criminalità.

Il GPI ci mostra anche come Paesi che sembrano lontani dai conflitti internazionali, come Israele, abbiano però un grado elevato di tensione politica, con violazioni sistematiche dei diritti umani che contribuiscono a peggiorare la situazione di sicurezza interna. Il risultato è una costante instabilità che rende il vivere quotidiano incerto e pericoloso.

Il perché alcuni Paesi sono così pericolosi, è un altro bel dilemma geopolitico.

I Paesi con alti livelli di criminalità e conflitti interni sono segnati da una combinazione di fattori sociali, economici e politici, come la povertà estrema, la miseria economica e l’assenza di opportunità che spingono non poche persone a ricorrere  alla criminalità per sopravvivere.

Altri fattori sono la corruzione e la debolezza istituzionale: un sistema giudiziario inefficace, la corruzione dilagante nelle istituzioni pubbliche e la mancanza di fiducia nelle forze dell’ordine aggravano il problema, creando un ambiente in cui la criminalità prospera allegramente e indisturbata.

La presenza di gruppi armati è segnale di guerra civile, il terrorismo e le organizzazioni mafiose controllano vasti territori, generando un vuoto di potere che impedisce alle autorità di ristabilire l’ordine. Ma non c’è solo questo. La lotta per il controllo di risorse naturali o per il potere geopolitico porta a guerre devastanti.

In questi Paesi, vivere senza paura diventa un sogno irraggiungibile, mentre la comunità internazionale assiste impotente se non disinteressata alla lenta disintegrazione di intere società, svegliandosi magari quando frotte di immigrati clandestini premono per entrare nella confort-zone dei paesi democraticamente ricchi.

In un mondo sempre più interconnesso, i Paesi più pericolosi non sono solo luoghi da evitare per motivi turistici, ma segnano un fallimento globale nella gestione della pace, della giustizia e dei diritti umani. Laddove la criminalità e i conflitti prevalgono, ogni giorno è una battaglia per la sopravvivenza, anche per chi visita questi territori.

Mentre le classifiche del Crime Rate e del Global Peace Index offrono uno spunto per capire la gravità della situazione, la vera sfida per la comunità internazionale è rispondere a questi problemi con azioni concrete.

La pace, la giustizia e la sicurezza non sono un lusso, ma un diritto universale che ogni Paese deve poter garantire ai propri cittadini. Il problema è come applicarle non solo a chiacchiere o con aiuti realmente disinteressati.

E l’Italia? Sta benino, ma se volete stare benone andate a vivere in Islanda, dove la criminalità è più rara di un politico sincero.

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