Benessere e Salute
Famiglie speciali: come la psicologia può aiutare i genitori di bambini con disabilità

La nascita di un bambino è sempre un evento importantissimo nella vita dei genitori, come dei parenti e della comunità che li circonda; un evento che sancisce il passaggio dallo status di ‘coppia’ a quello di ‘famiglia’.
E’ un momento su cui i partner hanno fantasticato molto, preparandosi ad accogliere il nuovo membro della famiglia che, perlomeno nei primi mesi di vita, assorbirà gran parte delle attenzioni di tutti.
Purtroppo però questa serie di eventi non va sempre come sperato e può capitare che il figlio non rispecchi le aspettative del genitore; nel caso dei bambini affetti da disabilità, questa violazione del ‘bambino-immaginato’, può essere traumatica e difficile.
Oltre alle incessanti cure di cui un bambino ha naturalmente bisogno, si aggiungono una serie di attenzioni particolari necessarie per compensare la situazione in cui ci si ritrova; il riflettore si punta sul nuovo nato, com’è naturale che sia, solamente che non si sposta più, una volta passati i primi anni di vita.
Questa situazione può avvenire anche più in là negli anni, non necessariamente alla nascita del figlio, ad esempio con una disabilità acquisita in seguito ad un incidente.
In ogni caso, ciò ha forti conseguenze psicologiche per i genitori, che si trovano a gestire direttamente una situazione a cui non erano preparati, spesso senza un aiuto competente al loro fianco; si tende istintivamente a concentrarsi sul figlio, dimenticando che non è l’unico a soffrire.
In questi casi, il sostegno dello psicologo può manifestarsi sotto diversi aspetti, come ad esempio un aiuto nel sopportare lo stress a cui vengono sottoposti queste mamme e questi papà. L’obiettivo è anche assisterli a non dimenticare sé stessi e la loro relazione, evitando quindi che si lascino assorbire completamente dalle cure necessarie al bambino.
Ad esempio, attraverso una terapia di coppia, un professionista può aiutare ad affrontare con maggiore sicurezza e serenità le varie fasi che compongono quello che è, pur nelle sue diverse gradazioni, un trauma psicologico. Specialmente nelle prime fasi dell’adattamento emotivo, un sostegno psicologico specifico può aiutare a superare tristezza, ansia e depressione più velocemente, permettendo di rielaborare la notizia ed accettare la situazione.
L’accettazione di un fatto come questo è un processo delicato e complesso, che richiede diverse fasi; comunque, questi sentimenti non sono facili da superare, in quanto fare i conti con il senso di colpa e di ingiustizia non è assolutamente facile.
Puntare ad accettare e mitigare questi sentimenti negativi è però un passo fondamentale per vivere con maggiore serenità personale e riuscire ad occuparsi meglio del proprio figlio. Un genitore più sereno eviterà di sfogare la sua frustrazione per una situazione senza soluzione, sul bambino stesso.
Un ulteriore aiuto ci viene dato dall’ambito della neuropsicologia, una branca particolare della psicologia che si occupa di diagnosi, riabilitazione e stimolazione cognitiva. Vari interventi hanno come scopo quello di sviluppare al massimo le abilità che il bambino possiede, concentrandosi su quello che c’è, piuttosto che su quello che manca.
Questo permette quindi di migliorare lo stato emotivo dell’intera famiglia e rendere il bambino autonomo al massimo delle sue capacità.
Un’altra tipologia di intervento che permette allo psicologo di aiutare è bilanciare la relazione tra il caregiver principale (cioè la persona che si occupa maggiormente del figlio) e il bambino disabile stesso.
Può accadere infatti che la relazione diventi estremamente simbiotica tanto che il genitore non permette, spesso inconsciamente, al figlio di sviluppare neanche quel minimo di indipendenza di cui sarebbe capace. Un aiuto professionale può quindi ottimizzare la relazione tra queste due figure, permettendo di trovare un equilibrio.
Un’ulteriore possibilità che a volte si pone può essere la nascita di difficoltà nelle relazioni con gli altri figli, se presenti. Può succedere che i genitori si concentrano così tanto sul figlio disabile da prestare meno attenzione agli altri bambini.
Lo psicologo può intervenire aiutando a riequilibrare l’attenzione dei genitori e distribuirla tra i vari componenti del nucleo familiare, per evitare che questi si sentano secondari al figlio disabile o, addirittura, in colpa per essere ‘normali’.
Un ultimo modo, ma non per importanza, con cui un terapeuta può essere presente è attraverso una terapia di gruppo. In questo caso, si formano dei gruppi composti da genitori i cui figli hanno disabilità o malattie simili e attraverso la condivisione dell’esperienza, moderata dallo psicologo, le persone trovano sostegno l’una nell’altra, sentendosi meno sole.
Il contributo per La Voce di Bolzano è della dr.ssa in tecniche psicologiche Lisa Andreatta.
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