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Gastronomia Trascendentale

L’amore per la tradizione emiliana: Arnaldo di Rubiera e Diana di Bologna

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L’umanità è diventata sempre più omogenea, soprattutto negli ultimi 50 anni: l’impennata demografica e la sua miscellanea hanno contribuito non poco a creare dei modelli mondiali di vita e alimentazione.

Le fiere globali stimolano la fusione di cotture e materiali, caratteristici dei più lontani popoli del mondo, e il web non pone più limiti alla fantasia.

Se è vero che il Popolo Globale è sempre più presente in estensione e profondità dentro di noi, il Popolo Locale difende con caparbietà i suoi confini.






Quale sarà il suo destino? Sarà travolto e diventerà un elemento del tessuto globale, con grande sacrificio di pluralità? Resisterà, come le macchie del leopardo, circoscrivendo propri ambiti in un comune organismo planetario, o capitolerà miseramente?

Io, Diletto Sapori, costretto dalla discendenza (il papà aveva cognome Sapori e la mamma volle darmi nome Diletto, in onore dell’amato nonno) e dal vocabolario a dilettarmi di sapori, ormai raggiunta una certa vetta d’esperienza, posso dire che ho idee ben chiare in merito…

Ma tali idee devono essere trattate con spirito scientifico, cari amici, altrimenti quale potrebbe mai essere l’utilità di leggere i miei testi anziché orecchiare tanta semplice e complessa gastronomia sul piccolo schermo, ormai invaso?

Il convivio non è più solo nutrirsi: è un’esperienza sociale a vario titolo, vuoi di cultura, vuoi di amicizia, vuoi di altri modi di essere insieme… E, dunque, che senso ha l’aspetto locale, quella dimensione che una volta era circoscritta da barriere geografiche soprattutto, e che oggi è invece asserragliata in una sorta di “repubblica mentale” caratterizzata da miti, e tradizioni sempre più segrete?

Questo tema vale per tutto e per tutti, nel mondo.

Ma per l’Italia vale di più, in quanto l’Italia è il Paese della varietà e della molteplicità: lo dice il biologo, che constata nello stretto e lungo Stivale il più elevato numero di specie vegetali e animali, oltre 10 volte quello dei Paesi più estesi del mondo (Canada, grande Russia, Cina…); lo dice lo storico delle arti tutte, che conta nello Stivale la presenza del 70% delle risorse attrattive dell’intero pianeta.

Vediamo allora, sul piano della mia Gastronomia Trascendentale (cioè oltre i cibi in sé, a parlare dell’Uomo!), che cosa succede a un bacino emblematico, la storica Emilia (Bologna, Modena, Ferrara, Reggio Emilia, Parma e Piacenza, non la Romagna!), ove ebbi i natali e che ancor’oggi alberga nel mio cuore come una madre generosa e socievole.

Non facile trattare l’argomento in un testo che vi possa raggiungere, cari lettori…: le parole non posson esser troppe, che sennò l’editore insorge! Così, il vostro Diletto ha deciso di rischiare con una scelta di testimonianza emblematica.

Magari in vista di un matrimonio… riparatore! Perché riparatore? Perché i 2 che ho deciso di citare in giudizio in questa vicenda della tradizione emiliana, rispetto all’incedere della globalizzazione, portano i nomi di un uomo, Arnaldo, e una donna, Diana.

Mentre persone della stessa provenienza rurale di Arnaldo portavano nelle città emiliane le materie prime di un territorio ricchissimo di varietà, i “cittadini” (ad esempio la famiglia della nostra “Diana”), attingendo al mercato e alla cultura, producevano succulenti manicaretti.

E allora, una domanda: la cucina emiliananasce nella vasta campagna o nell’evoluta città, e magari nella sua ancora incontrastata capitale, la turrita Bologna, ad esempio? Fu l’Arnaldo, prestante, a fecondare Diana, o fu Diana a desiderarlo e offrirsi?

Niente di meglio che andare a domandare ai due promessi sposi: quindi raggiungere Arnaldo, nella piccola Rubiera in mezzo alla campagna, quasi mediana della tratta di via Emilia suddetta, da Bologna a Piacenza ove termina, e poi raggiunger Diana nella capitale petroniana, celata dietro le vetrine (che furon sue) della via Indipendenza, i cui portici sono ormai feudo d’altra civiltà, concorrente, quella Globale.

Constata, il vostro Diletto, che tutto quadra: accanto a vezzi di piatti originali, trionfa in Arnaldo e Diana la comune visione del mondo, come in un grande amore. I ciccioli freschissimi della campagna di Arnaldo lasciano presso Diana il campo alla crescente (focaccia con piccoli pezzi di prosciutto nell’impasto), cotta presso di lei come nei migliori forni di Bologna; la mortadella, a golosi pezzi grossolani dall’Arnaldo, diventa una deliziosa spuma, morbida di ricotta, da Diana; il vero tortellino bolognese, in brodo di manzo e gallina, con il ripieno di lonza sapiente, prosciutto, mortadella, parmigiano, uova e l’odore della noce moscata di Diana diviene un cappelletto orgoglioso di differente ripieno dall’Arnaldo, ma col brodo di cappone, che lo richiede solitario bagnante nella piscina del cucchiaio, secondo lo stile sobrio della campagna; i bolliti trionfanti di varietà e dovizia di Rubiera divengono i meno numerosi, sceltissimi tipi bolognesi; gli arrosti seguono, proprio come i bolliti; e, dopo aver innaffiato il tutto con lambrusco adorabile in campagna, un Sangiovese Superiore (in tutti i sensi!) in città ci ristora e ammalia; e avanti coi dolci, con un gelato di crema davvero matrimoniale (altrettanto grazioso al desco dei due) e dolci di notevole prestanza.

Lascio ai gastronomi il vaglio.

La mia mente e la mia compagnia è magnificata da questo sincero amore emiliano, che si viva in città o in campagna, da Arnaldo o al desco di Diana. E anche se il padre di Diana, il coraggioso scudiero de “La Grassa” e dei suoi ristoratori, Eros Palmirani, ha dovuto abbandonare la storica vetrina della sua creatura ad arroganti mercanti di cotone, c’è un patto d’acciaio che lega l’Emilia: l’amore per la tradizione. È un matrimonio che… “s’ha da fare!”, quello di Diana e Arnaldo, e che è già nei fatti: la terza generazione di Arnaldo Degoli prosegue a dare la sua forza naturale alla tenera e delicata mano della bella cittadina bolognese Diana, creatura del Palmirani.

Evviva, allora, la tradizione emiliana, che resiste alla globalizzazione, con la forza dell’amore. Evviva l’Emilia, da Bologna a Piacenza con i suoi due portabandiera gastronomici: la Clinica gastronomica di Arnaldo Degoli a Rubiera e il Ristorante Diana di Eros Palmirani, in via Volturno a Bologna.



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