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Trentino

Orsa Jj4: l’animalismo che protegge i predatori e dimentica i morti

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I genitori di Andrea Papi: “Vogliamo riaprire il caso, non si può morire così”, mentre gli animalisti insorgono

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Un ragazzo è morto, ma la priorità è salvare l’orsa. Non c’è frase che meglio riassuma l’inaccettabile vicenda dell’orsa Jj4, trasferita trionfalmente nella Foresta Nera tedesca, mentre la famiglia di Andrea Papi, 26 anni, continua a piangere un figlio sbranato nei boschi della Val di Sole. Andrea è morto in un modo atroce, eppure il sistema ha voltato pagina come se nulla fosse. Ora il mammifero pericoloso ha una nuova casa “più grande”, mentre i suoi artigli si sono già macchiati di sangue umano.

I genitori di Andrea, Carlo e Franca, non ci stanno. “Vogliamo riaprire il caso, andremo fino in fondo per dare ad Andrea la giustizia che merita”, dichiarano con una dignità che fa a pugni con l’ipocrisia di chi si commuove per l’animale ma ignora la vittima. E aggiungono: “Non abbiamo mai chiesto l’abbattimento dell’orsa, vogliamo bene agli animali, ma la giustizia non ce l’hanno data”. Più che una richiesta, è una denuncia: qualcuno ha deciso che non ci sono colpevoli per la morte di un ragazzo massacrato da un orso noto per la sua pericolosità.

Sessantasette incursioni. Sì, 67 volte Jj4 ha dimostrato di essere un pericolo reale, non una creatura “incompresa”. Eppure, nulla è stato fatto per tempo. “L’incuria non è nostra, ma di altri. Andrea non è andato a cercarsela”, sottolineano i genitori con fermezza, ribadendo che il giovane non stava facendo nulla di avventato: camminava nei boschi vicino casa sua. È morto perché qualcuno ha scelto di proteggere l’orsa invece che prevenire il peggio.



E mentre la Lav esulta per il trasferimento, affermando con candore che “nessun recinto, per quanto ampio, potrà mai assomigliare alla vita in libertà”, viene da chiedersi: e la libertà di Andrea di vivere? Di tornare a casa quella sera? Di non essere dimenticato in nome di un fanatismo animalista che ha smarrito il senso dell’umano?

Le parole dei genitori sono un grido che dovrebbe scuotere le coscienze: “Un ragazzo non può morire così ed essere dimenticato. Non si può morire per avere fatto due passi nel bosco.” Ma evidentemente sì, si può. In un Trentino dove la priorità è non turbare l’equilibrio del branco, anche se questo significa sacrificare vite umane.

La Lav, intanto, continua a pontificare accusando la politica locale di non aver fatto abbastanza per “favorire la convivenza pacifica tra orsi e cittadini”. Già, perché per loro la soluzione non è intervenire sui predatori, ma educare le persone a convivere con essi. Come? Forse con corsi di sopravvivenza nei boschi o distribuendo spray anti-orso? Intanto, Andrea è morto.

E ora, con il trasferimento in Germania organizzato con cura e supportato da una fondazione tedesca, l’Italia si libera del “problema”, lasciando che altri se ne occupino. Ma non si può esportare l’ingiustizia come si esporta un orso. Resta un caso chiuso in fretta, un dolore che non si spegne, e una società che ha smarrito il senso della priorità: la vita umana.

“Faremo tutto il possibile, andremo fino in fondo per dare ad Andrea la giustizia che merita”, promettono i genitori. E noi ci chiediamo: dov’è lo Stato, quando non riesce nemmeno a riconoscere la vittima di una tragedia annunciata?

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