Alto Adige
Strategia di testing per l’Alto Adige, la Asl: “Nessun effetto sulla classificazione della provincia”
“La classificazione dell’Alto Adige come ‘zona rossa’ non ha niente a che vedere con le modalità di trasmissione dei dati da parte dell’Azienda sanitaria dell’Alto Adige verso Roma. I fatti lo dimostrano chiaramente“.
Lo comunica l’Azienda sanitaria dell’Alto Adige in una nota nella quale respinge con forza le notizie riportate da alcuni media nei giorni scorsi, secondo le quali la classificazione della provincia come “zona rossa” in Italia o come “area ad alto rischio” a livello dell’UE sarebbe legata alla prassi di trasmissione o rilevamenti dei dati verso Roma.
“Questo è chiaramente dimostrabile nei fatti – si legge nel comunicato – . L’incidenza su 14 giorni, in base ai soli risultati dei test PCR senza i risultati dei test dell’antigene, era troppo alta nei mesi presi in considerazione: per fare un esempio, dal 10 gennaio, l’incidenza era superiore a 500, laddove il limite di classificazione UE per il ‘rosso scuro’ in quel momento era di 500 test positivi al giorno.
In particolare, in Italia, la classificazione di una regione o provincia in una certa zona di rischio non si basa su un solo indicatore, ma sulla valutazione di più di 20 indicatori. La classificazione a livello statale è stata particolarmente influenzata dalla pressione sugli ospedali e sul sistema sanitario della provincia“.
“L’unica alternativa sarebbe stata quella di testare meno – ha affermato il Direttore generale Florian Zerzer – . Ma questa strategia non avrebbe avuto senso nel complesso perché, se avessimo fatto meno test, le infezioni sarebbero state più alte per un periodo di tempo più lungo e l’incidenza dell’infezione sarebbe stata molto più difficile da contenere“.
Poiché i risultati dei test antigenici sono in gran parte confermati dai test PCR (anche dopo 10 giorni), “il cambiamento deciso rispetto alle modalità di trasmissione dei dati non avrà un impatto significativo“.
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