Italia & Estero
Anche in Italia scoppiano le banlieue, terrore a Milano per il rivolta degli immigrati
Nella notte tra sabato 23 e domenica 24, Ramy Elgaml, 19 anni, e un giovane tunisino di 22 anni non si fermano a un posto di blocco dei carabinieri in via Farini a Milano.
Ne scaturisce un inseguimento che attraversa la città da nord a sud, concludendosi tragicamente all’incrocio tra via Ripamonti e via Quaranta, dove Ramy, in seguito a uno schianto, perde la vita al Policlinico.
Sul ragazzo deceduto vengono trovati un coltello a serramanico, spray urticante, circa 2000 euro in contanti e una collana d’oro spezzata.
Nei giorni successivi, la tensione cresce. Nella giornata e serata di lunedì, il quartiere Corvetto diventa teatro di incendi e scontri tra manifestanti e polizia, con l’obiettivo dichiarato di chiedere “giustizia”.
Domenica pomeriggio, circa 200 persone hanno partecipato ad una manifestazione non autorizzata con uno striscione che recita “Verità per Ramy”. Quella che inizia come una marcia pacifica degenera rapidamente in violenze urbane: vengono erette barricate, dati alle fiamme rifiuti e lanciati petardi e bottiglie contro le forze dell’ordine.
Le violenze si ripetono anche lunedì pomeriggio, con un gruppo di giovani che svuota estintori, fa esplodere petardi e lancia fuochi d’artificio.
Nella notte, la rivolta culmina in via Barbarino, dove un autobus viene fermato con un’auto messa di traverso sulla strada, completamente devastato, con i passeggeri costretti alla fuga. Vetrate infrante, cestini rovesciati, cartelli stradali distruttivi e bottiglie lanciate caratterizzano la scena.
Le autorità intervengono con cariche di alleggerimento e arrestano un giovane montenegrino di 21 anni, accusato di resistenza e vandalismo.
Durante gli scontri, si registrano feriti sia tra i manifestanti sia tra le forze dell’ordine, aggravando ulteriormente una situazione già critica e alimentando il dibattito su ordine pubblico e gestione dell’immigrazione.
La domanda centrale, al di là delle circostanze specifiche della tragica morte di Ramy, è cruciale: come può accadere che un’intera comunità reagisca con un racconto escalation di violenza da trasformare un quartiere in un teatro di scontri e devastazioni?
Le indagini chiariranno i dettagli di quella sera, ma il fenomeno delle rivolte urbane pone interrogativi più ampi. È il sintomo di un malessere sociale radicato, di tensioni mai affrontate in modo efficace, di percezioni di ingiustizia e alienazione che esplodono in modo incontrollato.
La mancanza di dialogo, l’assenza di spazi di integrazione e la percezione di abbandono istituzionale contribuiscono a creare un contesto in cui il disagio può trasformarsi in rabbia collettiva.
D’altra parte, la questione non si esaurisce nell’analisi sociale: eventi del genere sollevano anche interrogativi su come venga gestito l’ordine pubblico, su come prevenire queste situazioni e su quali strumenti si possono adottare per disinnescare tali dinamiche prima che degenerino.
È un problema complesso, che intreccia giustizia, sicurezza e politiche sociali, e che richiede risposte non solo immediate, ma soprattutto strutturali.
Il problema – a mio parere – può anche ritenersi legato alle migliaia di clandestini che arrivano in Italia e che per forza di cose vanno a vivere nelle periferie delle nostre città ,già gravate da grossissimi problemi sociali, economici, ambientali e di sicurezza.
È allora che c’è il rischio che si formino dei veri e propri ghetti dove anche le forze dell’ordine non vogliono entrare per la paura, e dove i cittadini italiani rimasti ormai in minoranza hanno di che pensare. Non siamo certo ancora a livello delle banlieue francesi, penso, ma nemmeno tanto lontani. Alla fine la ratio è sempre la stessa: queste persone – quelle arrivate in Italia in modo irregolare – non dovrebbero essere in Italia. Punto e basta.
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