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Alto Adige

La tragedia di Emily: cartello divieto solo in tedesco? Urzì: “Nel caso servono soluzioni definitive”

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Sulla morte della piccola Emily Formisano nell’incidente avvenuto ieri (4 gennaio) sul Corno del Renon, la Procura della Repubblica di Bolzano ha aperto un’inchiesta.

L’obiettivo è quello di chiarire le cause del sinistro e in particolare se il divieto di scendere con la slitta sulla pista numero 6, luogo della tragedia, fosse segnalato dai gestori dell’impianto, che in caso di assenza dell’adeguata cartellonistica rischierebbero ora di andare a processo.

Si parla, nel tratto interessato dall’incidente, di un cartello di divieto scritto esclusivamente in lingua tedesca: “Rodeln verboten”, affiancato da un piccolo logo. Quello con il simbolo della slitta sbarrato, certamente più intuitivo, si trova un centinaio di metri più a valle.

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Ma si parla anche di un cartello in italiano che sarebbe presente anche se purtroppo sbiadito e semicoperto dalla neve. Un elemento fondamentale per determinare eventuali responsabilità penali dei gestori che spetta alla Procura verificare.

Forse proprio per la difficoltà di interpretazione della segnaletica, lo slittino con mamma e figlia avrebbe imboccato per errore la pista nera numero 6 e, alla prima curva a destra, è uscito schiantandosi contro un albero.

Una pista cosiddetta “nera”, ovvero ad alto grado di difficoltà e con una pendenza intorno al 40 per cento, che è stata ora chiusa e posta sotto sequestro.

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Sulla vicenda interviene anche il consigliere provinciale Alessandro Urzi con una dura presa di posizione su una questione, quella della segnaletica bilingue, dibattuta da anni in Alto Adige e minimizzata con sistematica superficialità.

Doveva scapparci il morto, una piccola innocente, per fare aprire gli occhi sulla sistematica rimozione in tutto l’Alto Adige di targhe ed indicazioni in lingua italiana a favore di un maniacale monolinguismo tedesco che da anni condanniamo e censuriamo, inutilmente? Anzi venendo regolarmente derisi.

Se tutto sarà confermato come le prime notizie fanno intendere esistono dei responsabili morali, si potrebbe definirli mandanti, dietro alla morte della bambina emiliana di otto anni sul Renon, precipitata con la madre (in gravi condizioni) in sella ad una slitta lungo una pista nera e schiantatasi contro un albero.

La mancanza di chiare indicazioni in lingua italiana (ma quelle in lingua tedesca ci sono, eccome) sulla pericolosità del tratto di pista da sci su cui è avvenuta la tragedia – continua Urzì – farebbe intendere chiaramente come sarebbe stata la volontà dell’uomo, l’autorità giudiziaria stabilirà di chi in particolare, a scegliere deliberatamente di non usare la lingua italiana con la stessa evidenza tipografica della lingua tedesca nel segnalare i pericoli dei tracciati”.

Per Urzì è necessaria ora un’aperta revisione di tutto il sistema della comunicazione rivolta al pubblico (per tutte le comunicazioni di interesse pubblico) che non releghi in Alto Adige la lingua italiana ai margini.

E non vale solo per i turisti ma è anche una questione di rispetto e sicurezza per gli italiani residenti in Alto Adige – dice – . La rimozione sui sentieri di montagna da parte dei gestori e ora anche sulle piste da sci di indicazioni fondamentali in italiano ora si può capire a quali tragedie possa portare.

Lo diciamo da anni e le nostre richieste sono state tutte deliberatamente minimizzate.

Ora ci aspettiamo che cambi radicalmente l’approccio verso il tema del rispetto della lingua italiana con la nuova giunta. La toponomastica è una branca di questo tema: ci si può perdere se non si trovano le indicazioni nella propria lingua. Si può rischiare o perdere la vita se le avvertenze sulla pericolosità di un luogo sono solo in lingua tedesca”.

Il consigliere di l’Alto Adige nel Cuore annuncia la presentazione di una interrogazione al presidente della Provincia.

Mi aspetto che il tema sia affrontato con coraggio nel corso della legislatura ma i segnali non sono buoni se ancora in queste ore il presidente Kompatscher risulta insistere per ottenere una legge provinciale che invece di recepire il bilinguismo lo vorrebbe comprimere“, conclude Urzì.

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