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Italia ed estero

Morto Antonio Megalizzi. Il guerriero se ne è andato. La rabbia dell’Europa che piange il giornalista trentino

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Non ce l’ha fatta il giornalista radiofonico Antonio Megalizzi, quarta vittima  dell’attentato dell’11 dicembre a Strasburgo per mano della follia fanatica del terrorista Cherif Chekatt.

Il 28enne trentino se ne è andato oggi pomeriggio all’ospedale Hautepierre di Strasburgo dopo tre giorni di lotta tra la vita e la morte.

Un colpo di pistola ricevuto alla testa, conficcato alla base della nuca e troppo vicino alla spina dorsale perché fosse operabile.



Per tutto il tempo del ricovero le sue condizioni erano rimaste stabili ma precarie: le cartelle cliniche parlavano già dall’inizio di coma irreversibile.

Le condizioni disperate di Antonio erano state anticipate già ieri (13 dicembre) al nostro giornale da Danilo Moresco, padre della fidanzata Luana.

“Antonio non si risveglierà”, avevano detto i medici francesi con parole che facevano presagire una sentenza di condanna quasi annunciata.

Vicino a lui c’erano i familiari e la fidanzata, che fino all’ultimo hanno sperato nel miracolo.

Non volevamo crederci. E ancora si fatica a realizzare la verità di una tragedia che ora più che mai suscita sentimenti di rabbia, sdegno, sconforto per una giovane vita spezzata dalla follia omicida di chi si ostina a fare della politica e delle proprie folli convinzioni un’arma di guerra civile.

La morte di Antonio colpisce ancora una volta il cuore di un’Europa che mostra in questi frangenti, come sempre, tutta la sua fragilità.

Perché l’impegno quotidiano per la gestione delle politiche di immigrazione non basta. Lo sapevamo anche ieri. Ne eravamo consapevoli, tutti, da almeno un paio di decenni.

Antonio ucciso dalla fragilità e, se vogliamo, anche dall’incapacità di dare risposte concrete di quella stessa Europa in cui fermamente credeva e della quale era uno dei più appassionati sostenitori. Idealista, analista perspicace e instancabile lavoratore, Antonio era l’emblema dell’impegno profuso in quel progetto difficile e pieno di contraddizioni che è la costruzione di questi benedetti e maledetti Stati Uniti d’Europa.

Seppelliamo giovani, piangiamo i nostri morti uccisi da colpi di pistola o investiti da camion impazziti che come tsunami a otto ruote si abbattono su folle inermi ed indifese, lasciamo i nostri figli morire sotto la violenza esplosiva dei detonatori nelle metro delle nostre grandi capitali.

Li piangiamo, aspettando inerti ed impotenti la prossima tragedia.

La morte di Antonio è l’ennesimo colpo al cuore di ognuno di noi. Inaccettabile perché ci tradisce e tradisce l’identità e la dignità di un continente intero, non solo della “Nazione Italia”.

Inaccettabile perché oggi il giornalismo italiano ed europeo perde un grande talento, un’intelligenza ironica e tagliente, un ragazzo di 28 anni dalle grandi capacità e dall’immensa voglia di costruire un futuro migliore, e non solo per se stesso.

Oggi più che mai è necessaria una riflessione culturale seria e oggettiva sullo stato dello sviluppo delle politiche di integrazione di un continente, che lo accettiamo o meno, in continua drammatica trasformazione. 

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