Italia & Estero
Rimpatri migranti: ordine unico per tutti gli Stati, l’Europa sceglie il modello Albania

Il nuovo regolamento europeo sui rimpatri, atteso per martedì, introduce un “ordine di rimpatri europeo” che uniformerà le decisioni dei 27 Stati membri, garantendo maggiore chiarezza nell’intera Unione.
Tra le novità che accompagneranno i provvedimenti nazionali così da essere eseguibile in tutta l’Ue, l’introduzione di un ‘divieto d’ingresso’ e una sostanziale apertura agli hub di rimpatrio come sta tentando di fare l’Italia con l’Albania.
Composto da 52 articoli, il regolamento sarà direttamente applicabile e obbligatorio per tutti i Paesi dell’UE. Lo scenario attuale, caratterizzato da un insieme di normative nazionali differenti, riduce infatti l’efficacia delle procedure di rimpatrio a livello europeo.
Tra le disposizioni più rilevanti, l’articolo 10 introduce il divieto d’ingresso nel territorio dell’Unione per coloro che non collaborano al rimpatrio volontario, obbligatorio per chi non ha diritto all’asilo, o per chi non lascia lo Stato membro nei tempi stabilità. Questo divieto può estendersi fino a dieci anni ed è previsto anche per chi rappresenta un rischio per la sicurezza, come stabilito nell’articolo 16.
Il regolamento sottolinea che un sistema comune ed efficace di rimpatrio è un elemento essenziale del Patto su migrazione e asilo. Senza una politica credibile in materia di rimpatrio, l’intero sistema di gestione della migrazione risulta compromesso.
La permanenza di persone private del diritto di soggiorno mina la credibilità delle norme, ostacola la capacità dell’Europa di attrarre talenti e riduce il consenso pubblico verso società aperte e tolleranti.
Inoltre, incentiva gli ingressi irregolari e favorisce lo sfruttamento da parte delle reti criminali. Attualmente, solo circa il 20% dei cittadini extra-UE a cui viene ordinato di lasciare il territorio dell’Unione rispetta tale disposizione, mentre molti sfuggono ai controlli e si spostano in altri Stati membri.
L’attuale direttiva sui rimpatri consente ampie differenze nelle normative nazionali e nella loro interpretazione da parte dei tribunali, causando incertezza e lungaggini nei procedimenti amministrativi.
Questa situazione genera difficoltà sia per i cittadini extra-UE coinvolti sia per le autorità competenti. La mancanza di cooperazione da parte degli interessati, che talvolta resistono, fuggono o ostacolano le operazioni, complica ulteriormente l’applicazione delle decisioni. Inoltre, gli Stati membri incontrano difficoltà nel monitorare gli individui durante le diverse fasi della procedura, rallentando il processo.
La proposta si impegna a rispettare i diritti fondamentali, conformandosi ai principi stabilità dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea e agli obblighi previsti dal diritto internazionale.
In particolare, si fa riferimento alla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati, alla Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo, al Patto internazionale sui diritti civili e politici, nonché alle convenzioni delle Nazioni Unite contro la tortura e sui diritti dell’infanzia.
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