Italia ed estero
Salario minimo o contrattazione collettiva, i temi al centro del dibattito politico: le principali differenze
Adottato in circa 21 Paesi dell’Unione Europea, attualmente il salario minimo è al centro del dibattito politico italiano tra contrari e favorevoli.
Il salario minimo è voluto da molti, ma anche dall’Europa che con la direttiva di settembre 2022, lo raccomanda agli Stati membri che non ancora non lo hanno adottato, tra cui Austria, Danimarca, Svezia e Finlandia. Nel dettaglio, per salario minimo si intende la soglia della retribuzione, fissata per legge, al di sotto della quale non si può andare.
Generalmente, è determinato in misura uguale per tutte le categorie, non tenendo conto del “valore” di ogni singolo lavoro. Il salario minimo appartiene così al concetto di salario di dignità e prevale sulla contrattazione, qualora questa preveda un salario inferiore. Ad esempio nei Paesi dove è già stato adottato corrisponde a circa la metà del salario mediano e va dai 6/7 euro all’ora in Spagna, fino ai 12 euro della Germania.
Poi c’è la contrattazione collettiva, dove in Italia è estesa al 90% dei lavoratori e dove al momento si è scelto di non adottare il salario minimo.
Infatti, il problema del Bel Paese è soprattutto quello degli stipendi medi, che sono troppo bassi. Negli ultimi venti anni anni i salari in Germania sono saliti del 30%, in Francia del 20%, mentre da noi sono rimasti fermi. Paradossalmente, il salario minimo rischierebbe di produrre una spinta verso il basso perché, se si assumesse l’ipotetico valore del 50% del salario medio di un impiegato (che da noi è all’incirca di 11 euro/ora), si avrebbe un salario minimo di 5 0 6 euro l’ora, che spiazzerebbe la contrattazione collettiva perché a quel punto le aziende potrebbero essere tentate di sganciarsi da essa, per adottare appunto il salario minimo.
Leggendo più approfonditamente la direttiva europea, però, si sofferma anche ai riferimento ai contratti collettivi.
Certamente, il fine ultimo della direttiva è estendere la protezione dei contratti collettivi, tenendo conto, come detto prima, delle specificità di ogni singolo paese. Dunque, per l’Italia, l’obbiettivo dovrebbe essere quello di garantire una copertura contrattuale generalizzata, assicurandosi che si tratti di contratti collettivi stipulati da sindacati veramente rappresentativi. In questo modo, non si deprimono i salari e non si mette a rischio l’articolato sistema di tutele contrattuali, che oggi assicurano anche nuove forme di welfare integrativo. Per far crescere i salari c’è bisogno di più contrattazione e di più partecipazione dei lavoratori, con l’obbiettivo di migliorare la produttività delle nostre imprese e aumentare il valore del lavoro.
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