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«Immuni»: ecco come funziona l’app italiana per la lotta al coronavirus

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Tra il 1918 e il 1920 il mondo fu aggredito dalla “grande influenza”.

Un virus correlato al H1N1 che contagiò 500 milioni di persone, causandone la morte di quasi 100 milioni.

Era la “Spagnola”. Poi, senza essere riusciti a trovarne la cura, la pandemia svanì. Le ipotesi sulla “Spagnola” sono varie, ma la realtà è chiara. Un giorno, il virus ha cambiato aspetto ed è diventato meno aggressivo: una mutazione normale dei virus patogeni.



Al tempo non c’era la tecnologia odierna e la prevenzione, la diffusione dell’informazione medica e i farmaci erano tutt’altra cosa.

Oggi stiamo combattendo con un nemico simile, ma lo stiamo affrontando meglio.

Forse la sanità mondiale non rema ancora nella stessa direzione. Come si sta muovendo l’uomo nei confronti del piccolo essere alieno COVID19?

Lo sta combattendo con tutte le armi di cui è in possesso. Dalla solidarietà, alla sanità, alla scienza, nessuno sta con le mani in mano. Nemmeno la tecnologia.

Ed ecco che, nell’era degli smart-phone, delle smart-city, e dello smart-working, spuntano applicazioni mobili in serie per prevenire il virus.

Tutto molto bello, come le mascherine che son schizzate da venti centesimi a cinque euro. Come sempre, e la storia dovrebbe insegnare, nei momenti di crisi qualcuno ci guadagna, se in modo lecito la cosa è normale se invece in modo «truffaldino» meno.

Nel mondo esistono ormai quasi un centinaio di applicazioni che riescono ad assemblare dati al fine di arrivare allo stesso obiettivo: capire dove sei e se sei in pericolo; una garanzia per la nostra salute? Alle volte non è proprio così.

Tra le App che siamo andati a studiare, quella scelta ufficialmente dal Governo, è forse una delle meno “invadenti”.

Vediamo di spiegare, in parole povere e comprensibili, come funziona. Grazie al vostro apparecchio cellulare, lap-top o tablet che sia, purché tracciabile con Sim card e rete mobile, l’operatore sanitario, in caso di vostra positività al virus, riesce a capire con quante persone, ma soprattutto quali, siete stati in contatto negli ultimi 15/20 giorni.

In questo modo si riesce ad avvertire eventuali nuovi contagiati e controllarne lo stato di salute contenendo la propagazione del virus.

Le applicazioni asiatiche, nate in Cina qualche mese fa, utilizzano 4G e 5G in modo esplicito: tracciano gli spostamenti dell’apparecchio cellulare e ne registrano il percorso.

Possono conservare i dati per due anni. Per le leggi europee, questo viola la privacy e quindi molti sviluppatori hanno cercato un sistema meno invasivo.

Si è pensato alla tecnologia bluetooth: nessuno traccia più i tuoi spostamenti per un paio d’anni, ma il tuo apparecchio registrerà comunque ogni persona che ti è stata vicino per un tempo non ancora definito. Pare cinque o sei mesi.

Quindi, potrebbe succedere che, una volta chiamato l’operatore sanitario a casa vostra, e rilevata la vostra positività al virus, vi chieda se avete installato la App “immuni”.

Già, perché “immuni” è il nome della App scelta dal Governo. Se la vostra risposta sarà positiva, tutti i vostri dati andranno in un data-base e saranno, in maniera anonima, elaborati e spediti ad una sorta di centro di smistamento.

In automatico tutti i dispositivi venuti in contatto negli ultimi 15/20 giorni riceveranno un messaggio di allerta. Il destinatario del messaggio, ignaro della vostra identità, dovrà recarsi in un centro, appositamente allestito, per gli esami del caso.

Tutto molto bello all’apparenza. Ma se questo tipo di dati, venisse in mano alle persone sbagliate? Potremmo scrivere romanzi thriller all’infinito.

E se tutta questa tecnologia creasse troppa dipendenza e allarmismo? A questo punto la fine non arriverebbe mai.

L’unica cosa tangibile è che, se questa App non sarà scaricata da almeno il 60% della popolazione, non avrà alcuna utilità. E i dati parlano chiaro.

Vorrebbe dire il 100% degli apparecchi censiti, e questo è pressoché impossibile. Lasciatecelo dire: nonostante l’impegno e le buone idee, ma è una cosa difficilmente attuabile e sopratutto potrebbe derivarne un uso improprio e distorto. Non vogliamo fare propaganda negativa, ma ci sembra un progetto troppo ambizioso.

Nella speranza che non ci venga obbligatoriamente imposto, ci auspichiamo che la scienza ci venga in aiuto al più presto.

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