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Alto Adige

Piani delle zone di pericolo, quasi la metà dei Comuni è in regola

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Garantire la massima sicurezza possibile dai rischi di frane o smottamenti nelle zone residenziali dei comuni dell’Alto Adige. Questo l’obiettivo dei piani delle zone di pericolo che, in virtù della legge urbanistica del 1997 e della legge territorio e paesaggio del 2018, rappresentano una sorta di allegato ai piani urbanistici comunali con il compito di mappare il grado di pericolosità di una zona.

Sino ad ora, dei 116 comuni dell’Alto Adige, 49 hanno già un piano delle zone di pericolo in vigore, altri 32 sono nella fase conclusiva della procedura e tutti gli altri hanno già avviato l’iter.

Il piano delle zone di pericolo – sottolinea l’assessora Maria Hochgruber Kuenzerè uno strumento di importanza fondamentale per garantire sicurezza alla popolazione e per fornire alle amministrazioni comunali un preciso orientamento nelle operazioni di pianificazione“.



Una volta elaborato dal Comune assieme ai liberi professionisti incaricati, e prima di essere approvato sia dal Consiglio comunale che dalla Giunta provinciale, il piano deve passare al vaglio della conferenza dei servizi convocata dalla Ripartizione natura, paesaggio e sviluppo del territorio.

Quattro zone di pericolo a seconda dei rischi

I piani delle zone di pericolo prevedono una suddivisione del territorio comunale in 4 aree, contraddistinte da diversi colori che rappresentano altrettanti diversi gradi di rischio. La zona grigia è considerata sicura, nella zona gialla il pericolo è limitato, nella zona blu sono necessarie delle misure di protezione, mentre nelle zone rosse il rischio è consistente. In quest’area è di fatto vietato abitare e lavorare, e non possono essere realizzate neppure strutture per il tempo libero.

I nostri uffici – spiega la Kuenzer – ricevono costantemente richieste da parte dei comuni per la realizzazione di misure di protezione in grado di mitigare il rischio e, dunque, di consentire l’inserimento dell’area in una zona di pericolo inferiore“.

Dal rafforzamento degli argini per prevenire eventuali alluvioni alle barriere paravalanghe, passando per le reti paramassi: sono queste le opere più quotate. Dall’inizio di questa legislatura sono state approvate 13 variazioni ai piani comunali, per un totale di 29 da quando questa misura di mappatura del territorio è prevista dalla legge e l’assessora provinciale ricorda che “nessun piano delle zone di pericolo è immutabile nel tempo”.

Alla luce della complessità della materia, l’amministrazione provinciale offre il proprio sostegno ai comuni sia mettendo a disposizione i propri esperti, sia coprendo l’80% dei costi relativi ad analisi del territorio e pianificazione.

Quattro fasi per l’elaborazione dei piani

L’iter per l’elaborazione dei piani delle zone di pericolo si suddivide in 4 fasi. La fase A di preparazione, considerata di importanza cruciale in quanto maggiore sarà la precisione, più agevoli saranno le fasi successive.

In questo momento il territorio viene suddiviso in tre categorie: la categoria a, che è l’area urbanizzata e comprende i centri edificati e una zona cuscinetto di 300 metri; la categoria b, ovvero piccoli insediamenti, case singole o strutture per il tempo libero; categoria c, ovvero zone paesaggistiche che non sono d’interesse urbanistico.

Sulla base di ciò, si passa alla fase B, ovvero quella dell’incarico per l’elaborazione del piano da assegnare tramite bando di concorso. Il cuore del procedimento è la fase C, quella dell’elaborazione vera e propria del piano che porta alla suddivisione del territorio in 4 zone di rischio (grigio, giallo, blu e rosso).

Il percorso si conclude con la fase D dell’approvazione, che prevede il passaggio da Conferenza dei servizi, consiglio comunale e Giunta provinciale per l’inserimento definitivo della carta delle zone di pericolo nel piano urbanistico comunale.

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