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Politica

Recovery Fund, Italexit con Paragone Alto Adige: “Un’ennesima eurofregatura”

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Qualche giorno fa, il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte comunica “Urbi et Orbi” con immane gioia attraverso un tweet, il raggiungimento dell’accordo nel Consiglio europeo su Next Generation EU e sul Quadro Finanziario Pluriennale (Qfp, il bilancio pluriennale). “Ora dobbiamo solo correre”, dichiara felice Giuseppi nell’annunciare lo sblocco di 209 miliardi di fondi europei.

Il Consiglio europeo ha approvato due canali finanziari: 1) il QFP, il bilancio settennale, che interesserà gli anni dal 2021 al 2027 per un totale di 1074,3 miliardi (il precedente appena scaduto ha coperto gli anni dal 2014 al 2020), prevede stanziamenti di spesa medi per circa 153 miliardi annui; 2) il programma NEXT GENERATION EU, pari a 750 miliardi, di cui 390 miliardi per sovvenzioni e 360 miliardi per prestiti.

In tutto 1824 miliardi. Per quanto riguarda il QFP, il contributo dell’Italia passerà dall’11% al 13%, a causa della Brexit.

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Secondo la Corte dei conti, nei sette anni dal 2012 al 2018 l’Italia ha versato al bilancio della UE 112,83 miliardi di € ricevendone indietro 76,49, con un saldo negativo per il nostro Paese di ben 36,3 miliardi, cioè un saldo negativo medio di 5,2 miliardi l’anno. Se in quello stesso periodo non avessimo conferito nulla alla UE avremmo avuto 112 miliardi da spendere senza dover aspettare il beneplacito della Commissione europea.

Stando all’informativa del Presidente del Consiglio Giuseppe Conte alla Camera dei deputati del 22 luglio 2020, il saldo italiano resterebbe negativo anche nel settennio 2021/2027 con meno 2,9 miliardi in media all’anno, per un totale di 20,3 miliardi di euro. Per questo primo canale finanziario (QFP), riceveremo quindi 20,3 miliardi meno di quanto versato.

Anche per il programma NEXT GENERATION EU (NGEU) il saldo per il nostro Paese sarà negativo.

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Il NGEU è suddiviso in vari progetti. Il programma relativo al “Dispositivo per la ripresa e la resilienza”, il famoso Recovery Fund (un totale di 672,5 miliardi), prevede per l’Italia 127,6 miliardi di euro di prestiti e 63,8 miliardi di sussidi a fondo perduto. Per gli altri programmi il Bel Paese riceverà, sempre a fondo perduto: 15,2 miliardi per il REACT-EU; 0,5 miliardi da Horizon Europe (cioè il programma per la ricerca e l’innovazione); 0,8 miliardi dal programma riguardante la politica agricola comune; 0,5 miliardi dal Fondo per una transizione giusta (JTF); e, infine, 0,2 miliardi da l Meccanismo di protezione civile della UE (RescEU).

In tutto 81 miliardi a fondo perduto. Per contro l’Italia dovrà contribuire versando 96,3 miliardi. Con un saldo positivo però solo grazie a i prestiti che devono ovviamente essere restituiti. Esaminando quindi solo i sussidi a fondo perduto si vede che il saldo per l’Italia è negativo per -15,3 miliardi (81-96,3).

Da tutto ciò si evince chiaramente che l’Italia avrà nei confronti del bilancio UE nel periodo 2021/2027 un saldo negativo di 20,3 miliardi, mentre nei confronti dei contributi a fondo perduto del NEXT GENERATION EU un saldo negativo di 15,3 miliardi, per un totale di 35,6 miliardi €.

Come abbiamo appena visto, secondo la Corte dei conti, il saldo negativo per il nostro Paese nel settennio 2012/2018 è stato di 36 miliardi. In pratica, nonostante il programma NEXT GENERATION EU, per l’Italia non è cambiato nulla. Pagheremo ancora più di quanto incasseremo per circa 36 miliardi.

Inoltre, c’è da considerare i tempi. La prima tranche del 70% dei sussidi dovrà essere impegnata nel 2021 e 2022, mentre la seconda, del 30%, entro il 2023.

Ma quando effettivamente la Commissione europea tirerà fuori il denaro? Qui viene il bello (si fa per dire), infatti, come ricordato in un dossier della Camera dei deputati: ‘Per quanto riguarda i pagamenti, lo Stato membro sottopone alla Commissione una richiesta di pagamento su base semestrale, al raggiungimento degli obiettivi intermedi (milestones) previsti nel Piano’.

In pratica l’Italia riceverà i soldi soltanto se, di sei mesi in sei mesi, verrà accertato il rispetto del nostro Paese delle condizionalità imposte dall’Europa. Di cosa si tratta? Ce lo dice il prof. Alessandro Somma su “Micromedia”: ‘Il regime delle condizionalità di matrice neoliberale emerge anche e soprattutto da un’altra indicazione fornita dalla Commissione con specifico riferimento al Fondo per la ripresa: quella per cui l’impiego delle somme erogate, da illustrare in “piani per la ripresa e la resilienza”, deve “contribuire ad affrontare in modo efficace le raccomandazioni” formulate “nel contesto del semestre europeo’.

Non però le raccomandazioni fatte quest’anno, dopo che il Patto di stabilità è stato sospeso a causa dell’emergenza, ma quelle palesate negli anni scorsi e quelle che saranno esplicitate nei prossimi anni, quando il Patto di stabilità sarà ripristinato e sarà nuovamente imposto il pareggio di bilancio, in una situazione di debito pubblico deflagrato rispetto alla situazione pre covid.

Il testo del Recovery Fund, come scrive Giuseppe Colombo sul “Il Foglio”: “Prevede “milestones” e “targets”, che ricordano i salvataggi della Grecia e altri paesi della zona euro ai tempi della Troika”. In pratica un bazooka puntato alla testa degli italiani.

Ad accertare se l’Italia avrà eseguito i compiti da diligente scolaretta, valutando i piani nazionali di riforma, ci penserà la Commissione europea e poi il Consiglio che dovrà approvare gli stessi piani a maggioranza qualificata, cioè il 55% degli stati membri, che però devono rappresentare almeno il 65% della popolazione della UE.

Se uno stato membro ritiene che un altro stato membro non abbia rispettato gli impegni di riforma potrà bloccare la decisione di versare i fondi del Recovery Fund. In questo caso la decisione viene deferita al Consiglio europeo che deciderà per consenso. Ciò comporta un’ulteriore dilazione dei tempi per ricevere i sussidi.

Dulcis in fundo, nell’ultimo capoverso di pag. 103 della bozza del ‘Piano nazionale di ripresa e resilienza’, aggiornato al 6 dicembre, leggiamo che: ‘Le sovvenzioni del RRF (65,5 mld.) saranno prevalentemente utilizzate per il finanziamento di investimenti additivi rispetto all’evoluzione prevista degli investimenti pubblici a legislazione vigente (tendenziale) e per il sostegno agli investimenti privati. Per i prestiti si ipotizza che una quota venga utilizzata per iniziative additive (40 mld.) e che la restante parte venga utilizzata per il finanziamento di investimenti e di altre misure che sarebbero altrimenti state supportate da risorse nazionali’.

In parole povere ci viene detto che i sussidi a fondo perduto, che non finiscono nel debito pubblico, sarebbero spesi per nuovi investimenti rispetto a quelli già preventivati senza Recovery Fund, mentre solo 40 miliardi, dei 127 previsti come prestiti, sarebbero spesi per iniziative non previste dal Recovery Fund. I restanti, cioè circa 88 miliardi, non sarebbero utilizzati per nuovi investimenti, che potrebbero dare un impulso alla crescita, ma per progetti già previsti. In pratica verrebbero sostituiti i prestiti attesi dal mercato con prestiti dell’Unione europea.

Per concludere, dovremo sottostare alle dure condizionalità imposteci dalla UE per ottenere il bel risultato di dover versare nelle casse dell’Unione europea 36 miliardi in più di quelli che riceveremo con i sussidi a fondo perduto, mentre la maggior parte dei prestiti, quindi per noi debiti, sarebbe utilizzata per investimenti che avremmo ugualmente fatto“.

L’analisi è di Eriprando della Torre di Valsassina, coordinatore provinciale di No Europa per l’Italia – Italexit con Paragone Alto Adige

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