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Bizzotto al Festival: «Se il calcio è come una moglie, hockey e tuffi sono le amanti»

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Spaziando tra le diverse edizioni dei mondiali di calcio, dal 1930 alla mancata partecipazione dell’Italia a Russia 2018, il giornalista e telecronista Stefano Bizzotto, bolzanino, esperto anche di tuffi e hockey, ha rievocato aneddoti e curiosità legati alla ormai quasi ottantennale storia della Coppa del Mondo dello sport più diffuso al mondo.

Episodi inediti che, a loro modo, rappresentano tanti piccoli e grandi record. I cinque titoli vinti dal Brasile, i tre allori di Pelè, i gol del tedesco Klose, l’invenzione dei cartellini gialli e rossi.

Ma anche una riflessione, con un po’ di nostalgia, sul calcio di ieri e di oggi, e un ragionamento a trecentosessanta gradi sul modo di raccontare lo sport e di mantenerlo una grande passione popolare.



«Se il calcio per me è come una moglie, devo ammettere che i tuffi e l’hockey sono le mie amanti».

Chiacchierata sul calcio e dintorni con Stefano Bizzotto, voce delle telecronache Rai, nel primo appuntamento dei tredici dedicati ai libri di sport in questa prima edizione del Festival.

Al Bookshop di Piazza Duomo esauriti i posti a sedere e diverse persone in piedi per ascoltare gli aneddoti sviscerati da Bizzotto, sollecitato dal giornalista e ex «libraio» Carlo Martinelli.

Racconti e episodi tratti dal libro uscito a primavera e intitolato “Giro del mondo in una coppa”.

Partite dimenticate, momenti indimenticabili dell’avventura mondiale». Bizzotto – esordi all’Alto Adige di Bolzano, poi collaboratore e redattore per sei anni della Gazzetta dello Sport, infine giornalista Rai – dal 1980 conserva ritagli di giornale e annota meticolosamente informazioni e notizie di sport.

Un patrimonio di dati che è stato indispensabile per i gustosi approfondimenti che ha proposto al pubblico del festival e che trovano spazio nel suo volume. Se il tema del record, centrale in questo Festival, richiama a numeri e prestazioni, Bizzotto ha saputo declinarlo in chiave aneddotica parlando di mondiali di calcio: quel mondiale del 1930 in cui l’Uruguay finalista andò allo stadio in autobus di linea.

Quel mondiale del 1966 in cui un dirigente arbitrale ed ex arbitro inglese, tornando a casa e infilando una lunga serie di semafori, trasse spunto per proporre i cartellini gialli e rossi per ammonizioni ed espulsioni (introdotti quattro anni dopo).

Sempre nel ’30 il capitano dell’Argentina, Ferreira, saltò una partita per sostenere un esame universitario (divenne poi un apprezzato notaio). Ci sono le pagine tristi, come Andres Escobar, ucciso dalla malavita colombiana per un autogol al mondiale.

E gli episodi dal retrogusto dolceamaro come quello vissuto dal tedesco Fritz Walter, sfuggito ai campi di concentramento siberiani grazie ad alcuni casuali ma raffinati tocchi di palla in prigionia in Ungheria durante la seconda guerra mondiale. Bizzotto ha seguito sette mondiali e ne ha studiati altri tredici.

Il calcio è cambiato: a inizio carriera poteva intervistare liberamente i calciatori; oggi sono blindati da accompagnatori, società, sponsor. Sul futuro del calcio Bizzotto non regala facili entusiasmi: la cultura dei cori offensivi e delle intemperanze sugli spalti è dura a morire.

La ripresa del calcio italiano è possibile ma non semplice: abbiamo ottime scelte in attacco, con Bernardeschi, Chiesa e Insigne, ma siamo scoperti in troppi ruoli.

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