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Alto Adige

Agricoltura: no all’ingegneria genetica “made in Alto Adige”. La Protesta del CTCU

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Secondo il “Piano strategico per l’agricoltura dell’Alto Adige“, da qui al 2030 l’Alto Adige dovrebbe diventare il territorio della biodiversità, dell’acqua pulita, dei terreni fertili e dei prodotti premium (leggasi, di alta qualità). Ma a quanto pare anche un territorio di sperimentazione di nuove varietà di piante geneticamente modificate. Il CTCU chiede invece che si tenga fermo il principio del divieto dell’ingegneria genetica in agricoltura.

“Alto Adige, territorio della biodiversità”, “Società & dialogo”: sono due dei tanti accattivanti slogan del nuovo documento strategico per l’agricoltura altoatesina intitolato “Agricoltura 2030”. Esso contiene le “linee guida per azioni concrete e prospettive per il prossimo decennio” e delinea di conseguenza la direzione in cui l’agricoltura dovrebbe svilupparsi in questo lasso di tempo nel nostro territorio.

Leggendo il programma, al Direttivo del Centro Tutela Consumatori Utenti è balzato all’occhio un punto in particolare, che finora è rimasto (volutamente?) non menzionato nella comunicazione della nuova strategia e che si pone in netto contrasto con i principi della biodiversità e del dialogo e del precedente impegno per la libertà dall’ingegneria genetica: lo sviluppo (e presumibilmente la successiva coltivazione) di piante geneticamente modificate “made in Alto Adige”. Nel capitolo “Misure di accompagnamento”, all’interno del paragrafo dedicato al potenziamento della ricerca (pagine 30-31), si può letteralmente leggere, tra le altre cose:






Obiettivi: (…) utilizzo di tecniche avanzate di miglioramento genetico delle piante (cisgenesi, editing genomico) per lo sviluppo di varietà robuste e resistenti (…)

Misure concrete: (…) Selezione di varietà resistenti e adatte alla zona di produzione tramite tecnologie all’avanguardia e analisi di miscele di sementi resistenti al Centro di Sperimentazione Laimburg (…)

A quanto pare, qui si sta annunciando un radicale cambiamento di paradigma per vie traverse e senza alcuna forma di dibattito pubblico. Fino ad ora, infatti, c’è stato un consenso sul fatto che l’Alto Adige dovrebbe essere un territorio “senza OGM”: la legge provinciale L.P. n. 13 del 16 novembre 2006, modificata da ultimo il 17 gennaio 2011 vieta, infatti, la semina in territorio altoatesino di piante geneticamente modificate, al fine di proteggere l’ambiente, la biodiversità e l’agricoltura tradizionale.

Affinché i prodotti di origine animale possano essere etichettati come “OGM-free“, gli animali devono essere alimentati esclusivamente con mangimi altrettanto “OGM-free”. La legge provinciale per la protezione dell’ambiente (L.P. n. 6 del 12 maggio 2010) proibisce anche la diffusione di organismi geneticamente modificati in aree degne di protezione e stabilisce zone cuscinetto appropriate e misure precauzionali per la protezione delle specie animali e vegetali selvatiche. L’Alto Adige è anche membro della Rete europea delle Regioni “OGM-free” (European GMO-Free Regions Network).

Sin dall’inizio ci siamo opposti alla semina di sementi geneticamente modificate per salvaguardare l’agricoltura altoatesina dall’ingegneria genetica“, aveva dichiarato nel 2013 l’allora Presidente della Giunta provinciale, Luis Durnwalder. Riguardo l’etichettatura degli alimenti privi di OGM, all’epoca Durnwalder aveva sottolineato: “Abbiamo optato per regole rigide perché vogliamo evitare mistificazioni“. I consumatori altoatesini, infatti, dovrebbero sapere se gli alimenti che comprano sono geneticamente modificati oppure no. (Fonte: Comunicato stampa dell’Ufficio Stampa della Provincia dell’08.08.2013, Alimenti privi di OGM: nuove regole in vigore; il “virgolettato” è stato da noi tradotto dal testo originale in tedesco).

Sempre nel 2013, Durnwalder aveva commentato il divieto, da parte dei ministri italiani della salute, dell’agricoltura e dell’ambiente, di seminare il mais geneticamente modificato MON 810: “Siamo contenti che, per il momento, nei campi italiani non verrà utilizzata alcuna semente geneticamente modificata. Anche perché, una volta effettuate tali seminagioni, le possibili conseguenze, ad esempio attraverso la contaminazione delle colture convenzionali, sarebbero irreversibili“. (Fonte: Comunicato stampa dell’Ufficio Stampa della Provincia del 15.07.2013, Soddisfazione per il divieto dell’ingegneria genetica: conferma della nostra linea di pensiero). In fondo, non serve aggiungere altro a queste dichiarazioni dell’ex Presidente della Giunta provinciale, Durnwalder.

Secondo i sostenitori dei nuovi metodi di ingegneria genetica, queste nuove tecniche sarebbero molto precise e non ci sarebbe pertanto alcun rischio di effetti indesiderati. Essi affermano inoltre che i cambiamenti conseguiti potrebbero teoricamente derivare anche da mutazioni spontanee e che i prodotti finali così ottenuti non sarebbero affatto transgenici, in quanto non conterebbero materiale genetico esogeno. Usando tali argomentazioni – in contrasto peraltro con l’attuale giurisprudenza della Corte di giustizia europea – si punta all’obiettivo di non dover più etichettare, in futuro, gli organismi mutati con suddetti metodi come “geneticamente modificati“.

Per contro, va fatto notare che anche in riferimento alle nuove tecniche di ingegneria genetica non si possono escludere effetti imprevisti e indesiderati sul genoma o sulla fisiologia degli organismi geneticamente modificati, e di conseguenza sull’ambiente e sulla salute umana.

A tutela dei consumatori e dell’ambiente, il Centro Tutela Consumatori Utenti sostiene e richiede quanto segue:
l’Alto Adige è un territorio troppo piccolo per coltivare piante geneticamente modificate accanto a piante prive di manipolazioni genetiche; una separazione delle due filiere di approvvigionamento non è attuabile.

L’Alto Adige si richiama, in ogni occasione, all’elevata qualità dei propri prodotti. Il piano strategico “Agricoltura 2030” punta “a migliorare ulteriormente la qualità dei prodotti agroalimentari altoatesini e a far sì che essi si possano affermare sul mercato come alimenti sani“. Inoltre, si vuole aumentare la biodiversità del territorio. La rinuncia all’ingegneria genetica, anzi, la sua proibizione, sono l’unica conseguenza logica possibile.

L’ingegneria genetica non può essere introdotta in Alto Adige di soppiatto. Un cambio di paradigma così drastico non può avvenire senza un dibattito pubblico su larga scala. Una nutrita maggioranza di cittadini nell’Unione Europea rifiuta l’utilizzo dell’ingegneria genetica in agricoltura e ne sostiene il divieto.

Le nuove tecniche di ingegneria genetica vanno classificate come tali, con tutte le conseguenze giuridiche collegate. I nuovi metodi di ingegneria genetica, così come anche gli organismi (piante, animali) prodotti ricorrendo ad essi, devono essere regolamentati almeno con lo stesso rigore riservato ai procedimenti o ai prodotti di ingegneria genetica “classica”. Indipendentemente dal fatto che l’organismo modificato sia classificato come “transgenico” o “cisgenico”, si tratta sempre di procedimenti di ingegneria genetica che intervengono nella cellula a livello del genoma e la modificano utilizzando materiale prodotto o congiunto artificialmente al di fuori delle cellule. Il processo in quanto tale deve essere soggetto a regolamentazione. Sia le nuove tecnologie genetiche sia gli organismi risultanti – anche se in essi il DNA “estraneo” potrebbe non essere più rilevabile – devono essere sottoposti a un processo di omologazione basato su una ricerca dei rischi esaustiva e indipendente.

Attualmente non sono disponibili dati sui possibili effetti sull’ambiente e sulla salute dei prodotti ottenuti con le nuove tecniche di ingegneria genetica. L’utilizzo dei nuovi procedimenti di tecnologia genetica nella coltivazione di piante e nell’allevamento di animali e il trattamento in laboratorio e nell’ambiente degli organismi così risultanti devono pertanto avvenire sempre nel rispetto del principio di precauzionestabilito nei trattati dell’Unione Europea. Le autorità politiche sono tenute a contrastare in modo risoluto qualsiasi tentativo di indebolire tale principio.

Deve essere assicurata, senza compromessi, la salvaguardia della coltivazione di piante e dell’allevamento di animali senza tecniche di manipolazione genetica così come nell’agricoltura e nella produzione alimentare biologiche e convenzionali. Il diritto di libertà di scelta deve essere garantito tanto ai consumatori quanto agli agricoltori. A questo scopo, e ai fini di preservare la varietà genetica, occorre tutelare la produzione che non faccia ricorso a tecnologie genetiche.

È necessario fornire informazioni trasparenti sulle tecniche utilizzate nello sviluppo delle varietà. A tal fine, anche per i nuovi procedimenti di ingegneria genetica, deve valere un obbligo di etichettatura del prodotto esaustiva e completa. Per rispondere al “supremo imperativo di preservare le aziende agricole a conduzione familiare“, l’Alto Adige ha bisogno di un’agricoltura prettamente contadina e orientata ai principi dell’ecologia. L’utilizzo di organismi geneticamente modificati, al contrario, favorisce sia l’industrializzazione dell’agricoltura sia la dipendenza dei contadini dalle grandi società agroalimentari.

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